"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

domenica 17 gennaio 2010

La prima cosa bella

La prima cosa bella

Bruno, quarantenne in crisi, riceve dalla sorella Valeria la notizia che la vita della madre Anna è ormai compromessa da un male incurabile: Bruno, che ha sempre sofferto il rapporto con la donna, è restio ad andarla a trovare e inevitabilmente la visita gli riporta alla mente la sua infanzia. Una stagione di vita minata da un rapporto estremamente conflittuale con una madre protettiva, ma al contempo instabile nei rapporti umani, complice il suo candore e la sua bellezza che la rendevano spesso oggetto di attenzioni e maldicenze. Ora Anna è una donna ancora capace di esprimere allegria e passione per la vita, ma Bruno deve imparare a ricostruire un rapporto che ha rotto da molto tempo, da quando è fuggito da Livorno per rifarsi una vita a Milano.

C’è un momento nello splendido C’eravamo tanto amati di Ettore Scola, in cui il regista ricostruisce il set de La dolce vita di Fellini (con tanto di presenza del Maestro), comunicando allo stesso tempo un’idea di enorme caos e grande vitalità: anche ne La prima cosa bella c’è un set, quello de La moglie del prete, diretto nel 1971 dal compianto Dino Risi e la sensazione è ancora la stessa, un enorme caos e una grande vitalità. A mancare è lui, il grande regista, sostituito abilmente dal figlio Marco, che mantiene inevitabilmente vivo il mito, ma allo stesso tempo segna uno scarto, una mancanza, una differenza nostalgica fra un passato che ai tempi di Scola era ancora perfettamente afferrabile e oggi invece deve inevitabilmente passare per la ricostruzione. Il film di Virzì è inevitabilmente questo, il tentativo di compiere un ultimo (ma non disperato) tentativo di afferrare il passato per traghettarlo in un presente dove i personaggi giocheranno la loro ultima partita e riusciranno, forse, a trovare la quadratura di una vita vissuta in equilibrio fra differenti opposti.

Questo avviene in due modi: innanzitutto in rapporto a una lunga tradizione di cinema italiano, attraverso una struttura da racconto generazionale, magari non priva di un certo sapore autobiografico (la Livorno del film è quella in cui lo stesso Virzì è cresciuto), che al contempo però cerca soluzioni personali. Il doppio registro fra commedia e dramma, e l’equilibrio fra una progressione codificata e un ritmo molto veloce appaiono come una ricerca continua di quello scarto, quel volto, quel gesto che permettano allo schema di cortocircuitarsi per aprire uno slancio inatteso, capace di colorare il film di una spinta vitale. Da Scola si transita quasi verso il Battiato di PerdutoAmor, non per affinità stilistiche (i film non potrebbero essere più diversi), ma soprattutto in virtù di quell’ideale tentativo di fondere un immaginario classico con una formula più moderna, per preservare il ricordo dalla trappola dell’autobiografia spicciola, che possa corrompere la purezza del narrato: un tentativo riuscito e che per questo innalza La prima cosa bella nell’empireo dei migliori film italiani recenti.

Il film è infatti opera di un Virzì maturo e che guida con decisione la storia, affastellando immagini, epoche, mantenendo sempre un ritmo molto alto, quasi rischiando di “bruciare” molte situazioni, ma che invece riesce sempre a mantenere una porosità che permette alle scene e al cast di trovare e creare una propria dimensione. In questo modo, nonostante un lavoro di scrittura molto curato, il film respira di una sua vitalità soprattutto grazie a piccoli dettagli visivi, a un ingresso con due orologi il cui orario non corrisponde, a un momento di festa (quale può essere l’elezione della “Mamma più bella” su cui il racconto si apre) che sfocia naturalmente nello scontro verbale, mentre la risata si soffoca in una lacrima (e viceversa, come accade quando Anna tenta di farsi forza e nascondere ai figli il proprio dolore).

Di qui naturalmente il secondo modo con cui Virzì riesce a riflettere l’idea dell’equilibrio degli opposti, ovvero attraverso il versante squisitamente narrativo, che mette in scena passato e presente, in una vicenda di confronti continui fra i protagonisti e le loro scelte, ma senza indulgere mai al facile sensazionalismo melodrammatico, riflettendo piuttosto il complicato amalgama di sentimenti tipico della vita, al di fuori delle facili tipizzazioni che spesso aprono la porta al grottesco e cozzano con la verosimiglianza. E qui, in effetti, si torna ancora una volta a Scola.

In mezzo ci sono poi loro, gli attori, tutti straordinariamente in parte, che recitano il proprio personaggio di sempre ma riescono a essere al contempo dentro la storia aprendo un ulteriore scarto nel tessuto della storia: l’unica a fare eccezione è Micaela Ramazzotti, in cui si avverte l’esigenza di elaborare una figura coincidente con la se stessa del futuro. Qui si vede l’umiltà della brava attrice che capisce di doversi adeguare allo stile di una Stefania Sandrelli semplicemente gigantesca, che riesce a unire nella sua figura i segni di una vita intensa ma che è ancora capace di regalare levità a una donna attratta dalle emozioni, capace di piangere per un film o di emozionarsi per lo zucchero filato. La Sandrelli, in questo senso, è il vero corpo di sintesi della storia, quello che riassume in sé la formula che Virzì è riuscita a tenere in piedi mirabilmente, unendo dramma e ironia, regalandoci uno dei più bei ritratti umani da molto tempo a questa parte, attraverso questa splendida figura di madre che rifiuta ogni facile pietismo, anche nei momenti più dolorosi, che lascia letteralmente che la storia le scorra attraverso, esattamente come accade al suo personaggio, che a tratti sembra subire gli eventi, a tratti cercarli o provocarli.

E’ un peccato che un tale capolavoro sia stato distribuito a ridosso delle inutili commedie natalizie e di un Verdone ormai esausto, lanciato peraltro allo sbaraglio contro la corazzata Avatar. Il consiglio naturalmente è di non perderlo, perché questo, si può già intuirlo, è il film italiano dell’anno.

La prima cosa bella
Regia: Paolo Virzì
Sceneggiatura: Francesco Bruni, Francesco Piccolo, Paolo Virzì
Origine: Italia, 2010
Durata: 116’

Conferenza stampa con il regista e il cast
Sito italiano
Trailer de La prima cosa bella
Backstage de La prima cosa bella
Il brano eponimo di Nicola Di Bari

3 commenti:

Vision ha detto...

sponsorizzando il mio secondo blog...
...voglio semplicemente dirvi di diffondere la notizia, poiché è nato sulla rete un nuovo spazio indipendente che cercherò di rendere interessante il più possibile...

questa la presentazione:

"Turn Out The Lights" è un verso di "When The Music's Over" (1967), scritta da Jim Morrison, voce e anima dei Doors [in una live performance nell'immagine di sopra], a cui è appunto tributato questo modesto spazio sul web.

Nel seguente blog, io, Vision, posterò solo videoclips musicali, a casaccio, senza un ordine ben preciso, intenzioni filosofico-esponenziali o capacità di revisioni misteriose...
...quindi, in sostanza, quando non avrò un cazzo da fare, dipingerò i pezzi migliori del mosaico multiforme in cui si impregna uno dei connubi più affascinanti dell'arte moderna: quello tra musica e fotografia.

...naturalmente invito tutti i lettori/spettatori a seguire il blog, con commenti sensazionali ed emozionali...

Roberto Junior Fusco ha detto...

È piaciuto moanche a me. Ottima analisi, molto dettagliata.

Anonimo ha detto...

Non so se sarà effettivamente il film italiano dell'anno, però posso confermare le tue stesse impressioni. Davvero una bellissima commedia dolce-amara che mi ha emozionata in maniera pulita e per niente stucchevole o eccessivamente melodrammatica. Poi, come ben dici, recitata veramente superbamente.

Ale55andra