Si fa sempre un gran parlare di Annozero, nel bene e, naturalmente, nel male. Chi scrive ne è un estimatore palese da tempo: certo, come la proverbiale ciambella che non riesce sempre con il buco possono capitare puntate più o meno felici, ma ciò che in questo momento interessa è una qualità generale più particolare, percettibile lungo il particolare percorso che le tre puntate della nuova stagione (stasera andrà in onda la quarta) hanno sinora descritto. Un percorso sfaccettato, che si intreccia alla costante mutazione della moderna televisione (e, va da sé, della società tutta).
“Comunque la pensiate, benvenuti”. Con questa frase Michele Santoro apre ogni puntata della sua trasmissione, lasciando sottintendere la voglia di rivolgersi a un pubblico diversificato, stante però il suo punto di vista molto specifico sulle varie questioni che di volta in volta andrà ad affrontare. Si può infatti interpretare questa dichiarazione d’intenti in due modi: come un tentativo di rimarcare la differenza (“anche se la pensate diversamente da me”), ma anche come un’esortazione al confronto (“a prescindere da quale sia il vostro orientamento qui c’è spazio anche per voi”).
E’ una questione di punti di vista, peraltro, che trovano rappresentazione in studio attraverso gli esponenti dei maggiori schieramenti parlamentari, secondo una formula tipica del programma di approfondimento politico: lo spazio quindi diventa luogo di confronto fra due visioni differenti, da parte di contendenti che la pensano diversamente. L’obiettivo, non dichiarato ma palese, è naturalmente far emergere una verità, attraverso una formula narrativa basata su una scrittura “forte”, che tiene conto anche di esigenze puramente spettacolari, attraverso la scansione di singoli momenti e l’inserimento degli spazi pubblicitari (basti pensare al sempre atteso editoriale del giornalista Marco Travaglio).
Per questi motivi Annozero non sfugge ad alcune regole tipiche della Reality tv: piace (o non piace) perché racconta dei fatti, ossequiando allo stesso tempo delle caratteristiche perfettamente riconoscibili, è studiato nella composizione dei suoi casting e nell’atmosfera vagamente noir dello studio a luci soffuse, ben diverso, ad esempio, dalla luminosità esibita di un Porta a Porta o dalla natura vagamente pop delle scenografie di Ballarò, con le sue sedie di cartone, i murales e le sigle in animazione.
L’aspetto inevitabilmente più interessante di questa particolare dinamica reale/finzione si ottiene proprio quando la formula gioca con i suoi codici creando dei cortocircuiti percettivi, spesso inaspettati. Un esempio è la puntata di giovedì 1 ottobre, dedicata al “caso escort”, con la partecipazione dell’ormai nota Patrizia D’Addario. Quello che infatti è andato in onda è un autentico psicodramma collettivo, che ha offerto spunti molto pungenti e inquietanti sul senso delle cose della nostra società e sulla percezione che i protagonisti hanno rispetto al ruolo in cui sono ricondotti dall’attualità.
L’emersione di una verità nascosta, infatti, scontratasi con le resistenze dei singoli, che non vogliono contraddire la morale comune screditandosi agli occhi dello spettatore medio, ha prodotto un autentico rifiuto del sé: il capo di governo che si allieta con giovani donne e prostitute rivendica quindi il suo essere un "conquistatore", mentre il fatto pubblico diventa "gossip"; la prostituta a sua volta muta in una "escort" e grida "con dignità" la sua delusione per un favore che non ha ottenuto; dietro le quinte c’è poi l’ombra di un giornale (La Repubblica) che persegue un'inchiesta (giusta) principalmente perché intercetta i bisogni del suo potentato economico, mentre i giornalisti filoberlusconiani rivendicano invece il diritto di portare a galla il vero scandalo della sanità pugliese per trarre d'impiccio il loro capo.
E ancora: le giovani esponenti del PDL che gridano all'uso della donna e al malcostume del sistema difendendo però a spada tratta quella classe di governo che di quello stesso sistema si bea e che foraggia. La femminista che pure grida all'uso della donna e poi rivendica il modello-velina come esempio di emancipazione femminile.
Questa dinamica di rifiuto del sé, innestata sulla consueta formulazione “scritta” tipica del programma produce un senso di schizofrenia in cui, all’interno della commedia, nessuno recita il ruolo della maschera che pure indossa. I risultati di questo confuso gioco sono due: da un lato una forte sensazione di una realtà che ha completamente smarrito il proprio baricentro e dall’altra la scaltrezza di una trasmissione che riesce a sfruttare questo meccanismo in modo spettacolare radiografando perfettamente il caos. La puntata quindi ottiene uno share altissimo e, soprattutto, si inserisce senza alcuno scossone nel più grande percorso che Santoro aveva costruito a partire dall’appuntamento precedente (dedicato alla libertà di informazione e, quindi, al travisamento della verità) e che poi ha proseguito in quello successivo (la puntata sulla mafia in cui sono emerse altre verità e si è capovolto il ruolo del giudice Borsellino, da eroe al servizio dello Stato a vittima di un gioco delle parti che lo ha costretto nel ruolo dell’incomodo per lo Stato stesso).
Tutto questo naturalmente finisce per produrre una certa inquietudine in chi guarda, fatto che diventa uno degli autentici motivi di fascino del programma. D’altronde che si sia di fronte a uno spazio che ha ben presente l’importante e l’invadenza della finzione è palese sin dal titolo che rimanda al cinema (Germania Anno Zero): ma ora la finzione non è più quella della fiction, bensì quella di una televisione che da tempo ha minato la percezione comune lavorando contro le categorizzazioni canoniche.
L’inquietudine di fondo, naturalmente, sta nel fatto che l’operazione svolta da Santoro non diventa però un’operazione di pulizia del pensiero (non sempre almeno), che restituisca ai singoli i loro ruoli, ma che anzi sfrutta il loro rifiuto del sé per evidenziare il caos. Più che di tv verità, dobbiamo quindi parlare di tv sulla finzione. Una sorta di funerale del presente officiato in diretta.
Il sito di Annozero
Il sito di Michele Santoro
Il caso escort raccontato da Marco Travaglio
2 commenti:
Approvo assolutamente la tua analisi, davvero quasi psicoanalitica, direi. Il concetto di Sè è fondamentale nel pensiero psicoanalitico moderno. Prende l'avvio da Winnicott (che ha introdotto il tema del "Falso Sè") e da altri analisti, tra cui Kahn e la Deutsch, che ha appunto parlato di Personalità-come-se. Interessante. Molto interessante, tutto questo.
Molto bella questa riflessione: non ho seguito la trasmissione con sufficiente assiduità negli anni scorsi per dire se sia applicabile in generale o se invece sia particolarmente adatta proprio a queste ultime puntate, dati i fatti privati (d'altronde non tanto privati) al loro centro.
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