"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

giovedì 23 ottobre 2014

Harlequin

Harlequin

Il Senatore Nick Rast è un uomo molto potente e ora ha di fronte a sé l'occasione di una vita: la misteriosa morte in mare di un collega gli ha infatti aperto le porte per un seggio nel governo, una nomina su cui puntano molti potenti investitori, disposti a tutto pur di proteggere il loro protetto. Ma, nel privato, la cagionevole salute del figlio Alex, ammalato di leucemia, rischia di vanificare ogni felicità. Una sera, però, il bambino guarisce grazie all'intervento di Gregory Wolfe, un misterioso individuo apparentemente dotato di poteri magici. Da quel momento Wolfe si stabilisce in casa del Senatore, esercitando un grande fascino su sua moglie Sandy. Ma chi è realmente Wolfe? La sua è davvero magia o un'abile truffa? E cosa vuole dalla famiglia Rast?


Per alcuni, il produttore Antony I. Ginnane è il “Roger Corman australiano”, per la spregiudicatezza con cui ha sempre tentato di riprodurre “in piccolo” le dinamiche del cinema più grande, attraverso una formula ibrida, ambiziosa nei risultati e nei nomi che di volta in volta riusciva a coinvolgere, ma estremamente scaltra e “popolare” nell'uso delle pratiche più “basse”, con sesso e violenza a far sempre capolino. La sua fortuna inizia con il successo di Patrick, che gli apre le porte dei mercati esteri e lo spinge a provare un tipo di cinema australiano nei fatti, ma capace di apparire appetibile anche al di fuori dei confini nazionali grazie al coinvolgimento di attori americani e inglesi. E' in base a questa dinamica che avviene il suo incontro con David Hemmings, celebre interprete di Blow Up e Profondo Rosso, che alla fine degli anni Settanta sta tentando il passaggio dietro la macchina da presa: le sue prime regie, però, non hanno avuto il successo sperato, e così l'attore inglese si lascia convincere a unire le forze con quello spregiudicato produttore australiano, che sembra in grado di assicurargli i mezzi per proseguire la carriera. Il primo passo, comunque, lo vede soltanto attore, in questo Harlequin, dove la sua presenza garantisce anche l'approdo di Robert Powell, all'epoca sulla ribalta per l'interpretazione da protagonista nel Gesù di Nazareth di Franco Zeffirelli. A dirigere c'è invece Simon Wincer, futuro artefice di D.A.R.Y.L. e Free Willy, che sotto l'ala di Ginnane ha già realizzato Snapshot.

La storia, scritta dall'esperto Everett De Roche (lo stesso di Patrick), parte da presupposti alquanto ambiziosi: l'intenzione è infatti quella di attualizzare la vicenda del monaco Rasputin e della sua influenza sulla famiglia dello Zar Nicola II di Russia (e in particolare sulla zarina Aleksandra), ottenuta grazie alla guarigione del figlio Aleksej dall'emofilia. A questo si unisce l'influenza storica pure garantita da un incidente che, nel 1967, aveva visto il primo Ministro australiano Harold Holt sparire nel nulla dopo essersi tuffato in mare. Il titolo Harlequin (che in America diventa Dark Forces) ammicca invece all'Arlecchino di Goldoni, chiamato esplicitamente in causa nel travestimento finale di Wolfe. L'influenza di Ginnane si vede in un paio di momenti shock e in almeno una scena di nudo, ma per il resto Wincer impone un taglio elegante e decisamente lontano dagli standard tipici del cinema exploitation, più vicino perciò a thriller ad alto budget come Il presagio. L'uso del Cinemascope e le efficaci musiche di Brian May (soltanto omonimo del celebre chitarrista dei Queen) contribuiscono a creare l'atmosfera giusta.

La natura ibrida viene così sfruttata a livello narrativo, sfruttando l'ambiguità che circonda il personaggio di Wolfe, sostanzialmente positivo e capace di aprire orizzonti interessanti e vivificatori, ma sempre ammantato da un'aura di mistero circa le sue reali capacità. Le barriere che il mago abbatte sono quelle del deperimento fisico (la malattia del piccolo Alex), ma anche quelle dell'ipocrisia che domina nel contesto familiare alto borghese, attraverso un disvelamento degli interessi che gravitano attorno alla figura del Senatore Nick Rast, per il quale ogni azione si inserisce in una rete di necessità, doveri e privilegi imposti a se stesso e a chi gravita nella sua orbita.

Ne consegue un interessante tentativo di articolare la dicotomia magia/realtà nel senso di uno scontro fra l'apparenza e la sostanza: in tal modo Wolfe si offre come presenza proteiforme, un po' mago, un po' messia, un po' maschera da commedia dell'arte, trasformista e satirico per come mette in crisi i ruoli dei protagonisti, spingendoli a liberarsi dai doveri imposti da una vita finalizzata soltanto agli interessi particolari. La natura insufficiente di alcuni effetti speciali viene riscattata da un Robert Powell perfetto nel ruolo, gigionesco e dunque consapevole nello “staccare” il personaggio dalla realtà circostante per aprire il racconto a una prospettiva altra, che sia punto di vista privilegiato sulla politica e la società dell'epoca. In tal modo i personaggi diventano protagonisti di una continua oscillazione, dove il potente Senatore Rast si rivela adultero, debole e manovrato dai suoi investitori, mentre sua moglie abbandona i panni della devota consorte per lasciarsi conquistare dal nuovo arrivato, cui confida tutte le sue celate frustrazioni. Il piccolo Alex (su cui non a caso si chiuderà la storia) diventa così il terreno di coltura su cui forze contrapposte agiscono per forgiare una realtà divisa fra spregiudicato bisogno e un afflato più libero e panico, ben sintetizzato dalle continue inquadrature su gabbiani, mari e elementi naturali.

Ma è ancora più interessante il fatto che questa crisi del rapporto verità/finzione si sposi alla particolare anima di un film che fonde uno sguardo realistico e un approccio fantastico, unendo analisi politica e uso dell'elemento magico; la struttura è a cerchi concentrici, e ogni possibile livello di fruizione alza ulteriormente la sfida delle sensazioni che si tenta di far provare allo spettatore e delle tipologie di racconto che si possono inserire nell'insieme. Per certi versi è il punto d'approdo assoluto dell'idea di cinema composito di Ginnane, ambientata in un “non luogo”, con interpreti britannici, artigianale e quasi psichedelico nella sua bizzarria eppure capace di prendersi sul serio con un tono da cinema adulto: una strana formula che, peraltro, si situa anche bene fra una certa sensibilità più rarefatta tipicamente anni Settanta e una voglia di alzare la posta in gioco, più vicina agli Ottanta.

Il rischio, naturalmente, è quello di creare disorientamento e apparire perciò come un progetto confuso, che gioca con l'accumulo di spunti senza riuscire a dare compattezza all'insieme: resta, comunque, un esempio interessante e particolare di cinema di genere capace di osare soluzioni inattese.

Il film è inedito in Italia, e il resoconto si basa sulla visione dal DVD australiano della Umbrella Entertainment.


Harlequin
Regia: Simon Wincer
Sceneggiatura: Everett De Roche
Origine: Australia, 1980
Durata: 92'

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