Locke
Un uomo, una strada e
l'abitacolo della sua auto: tre elementi che bastano a Steven Knight
per realizzare un gioiello cinematografico, senza far calare mai la
tensione e affidandosi a pochi, ma solidi elementi. In primis
il magnifico corpo attoriale di Tom Hardy, sempre più autentico
camaleonte del cinema contemporaneo, capace perciò di rendere a
meraviglia la figura duale di Ivan Locke: un vincente, per la
posizione che è riuscito a ritagliarsi con le sue sole forze, ma
anche un uomo gravato da un'ombra oscura, da quella figura paterna
che solo lui vede riflessa nello specchietto retrovisore e che sta lì
a ricordargli come la mela non cada mai lontano dall'albero. La
performance di Hardy è tanto più straordinaria quanto alimentata da
elementi quasi impercettibili: va infatti considerato come l'attore
sia solo e in una posizione che consente ben poco movimento (è al
volante della sua auto e comunica via telefono in viva voce). Il
lavoro è principalmente sulla voce, dal tono basso, calmo, capace in
tal modo di restituire il senso di solidità e affidabilità di
Locke, la sua calma destinata apparentemente a non incrinarsi mai,
stolida così come il suo senso del dovere che lo porta a correre da
una donna che non ama, ma verso cui si sente responsabile, affinché
suo figlio non nasca senza vedere il volto del padre.
Hardy lavora sui toni
bassi della voce (il film non va assolutamente visto doppiato,
qualora fosse distribuito) e in questo modo stabilisce il ritmo calmo
del racconto, scandito dal continuo incalzare delle telefonate,
mentre il personaggio cerca di ricondurre sempre tutto alla logica.
La discrasia che si crea fra la calma apparente dell'uomo e il
progressivo franare degli eventi crea il conflitto del film, con
mille problemi che si accumulano tra i due fronti – quello
familiare e quello lavorativo – su cui si trova sballottato Locke.
Pur potendo contare su un lavoro di scrittura precisissimo e capace
di dare ai dialoghi lo spessore drammaturgico necessario a esprimere
la forza della storia, Knight ci mette comunque anche uno sguardo
capace di massimizzare i risultati. La recitazione di Hardy è
infatti enfatizzata da un uso espressivo della fotografia che crea
uno scenario impressionista fuori dall'abitacolo dell'auto: le luci
dei veicoli e le geometrie descritte dall'autostrada creano infatti
una gabbia in cui chiudere l'uomo. Quello che vediamo è Locke fuori
dal mondo ma dentro tutto il suo universo, così concreto nelle
questioni che affronta, ma così evanescente nella distanza che lo
separa dai fatti reali su cui tenta di avere il controllo. Lo stile
visivo, pertanto, esteriorizza i conflitti portati avanti dalla
vicenda immergendo totalmente lo spettatore su questo set tanto reale
quanto mentale, dove, non a caso, la posta in gioco è sia costituita
da eventi concreti (la calata del calcestruzzo) che squisitamente
etici e ideali (il senso del dovere, la fiducia tradita verso la
moglie e l'azienda).
Il resto lo fa un lavoro
di scelta delle inquadrature che a tratti ritaglia spazi precisi sul
volto di Hardy: quando, ad esempio, vediamo soltanto i suoi occhi
incastonati nella superficie ristretta dello specchio retrovisore,
l'espressione è differente; davanti a noi non c'è più il barbuto e
corpulento padre di famiglia dall'aspetto così tradizionale e
amichevole, ma cogliamo invece lampi di quella forza animale che era
propria del Bronson di Nicolas Winding Refn. In questi momenti
Knight dimostra come la scelta di Hardy sia una vera e propria
dichiarazione d'intenti per esprimere un coacervo di emozioni che il
volto così duttile dell'attore naturalmente è in grado di
evidenziare e portare in dono al suo personaggio.
La metafora stessa del
calcestruzzo, che nei dialoghi Locke individua quasi come un
paradigma della realtà, diventa pertanto folgorante: duttile,
morbido, eppure così essenziale per la solidità delle costruzioni
che il personaggio innalza con il proprio lavoro, il calcestruzzo è
la vita stessa di Locke, il tramite con quella realtà che l'uomo
cerca di gestire nel migliore dei modi, salvo poi cedere nell'attimo
in cui non usa più la logica e si abbandona all'istinto. La logica
peraltro è anche quella che deve regolare la calata nel cantiere e
che collide con i problemi creati dalla realtà con fare quasi sadico
e “scientifico”.
Già sceneggiatore per
Frears e Cronenberg (suo La promessa dell'assassino), Steven
Knight è qui al secondo lavoro da regista (il primo, Redemption,
è in questo periodo nelle nostre sale) e si è già ritagliato un
posto d'onore per la coerenza dei suoi temi e la sicurezza dello
stile: le sue sono storie di uomini che cercano di fare la cosa
giusta, in un mondo governato da un caos che per questo tende a
soverchiarli. Ivan Locke, in una sola notte, distrugge ciò che aveva
costruito in un'intera vita per rispondere unicamente al suo senso di
responsabilità, mentre invita parenti e amici a essere logici, salvo
accorgersi del loro voltargli le spalle. E' un racconto morale, ma
anche una parabola su un uomo che anela alla perfezione, ma non può
che prendere atto della propria fallibilità: proprio in questa
umanità sta il valore di un progetto che non cede alle facili
lusinghe del moralismo astratto, ma è sempre, invece, iscritto in
drammi che lo spettatore sente come profondamente veri. Un film
folgorante, che si spera sia presto distribuito in Italia.
EDIT: uscito nei cinema italiani il 30 Aprile 2014.
Locke
Regia e sceneggiatura:
Steven Knight
Origine: Usa/UK, 2013
Durata: 85'
1 commento:
sembra molto interessante e Hardy mi piace assai, di questo regista volevo vedere redemption, ma ovviamente lo hanno distribuito male e in poche sale, credo che lo recupererò in altra maniera.
quanto questo Locke se esce in italia e lo distribuiscono in maniera decente me lo vado a veder al volo e in italiano perchè non ho dubbi che la voce di hardy sia ottima, ma i nostri doppiatori sono bravissimi quindi credo che faranno un bel lavoro, poin in seguito mi vedrò anche la versione inglese x fare paragoni ;-)
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