"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

sabato 2 maggio 2009

Kino Lika

Kino Lika
 
In un paesino sulle montagne della Croazia si incrociano le esistenze di tre personaggi: Mike, giovane promessa del calcio che entra in crisi dopo aver causato inavvertitamente la morte della madre; Olga, ragazza obesa che non riesce a trovare un compagno che l’accetti; Joso, alle prese con la siccità ma troppo testardo per chiedere aiuto, costasse anche la vita del giovane figlio. Sullo sfondo il referendum che potrebbe annettere la Croazia all’Unione Europea e tutta l’attività (e gli interessi) ad esso collegati.

Colpa, desiderio, sete. Sono i tre punti nodali intorno ai quali ruota la narrazione di Kino Lika (letteralmente “il cinema di Lika”, regione montuosa della Croazia dove la storia è ambientata) e che permettono al regista Dalibor Matanic di dare forma a un film che esplora il confine sottile tra grottesco e orrore, quello capace di trasformare un sorriso in una risata folle e carica di amarezza: la discesa progressiva alla ricerca delle pulsioni primarie che agitano la coscienza dell’essere umano è peraltro palese, ma il punto di partenza è ameno, in questa comunità che appare tutto sommato serena e animata da una vitalità ossequiata fino alla ricerca del cliché, con tanto di canti e musiche popolari in evidenza. Non è una scelta casuale perché serve a misurare lo scarto tra l’apparenza e la sostanza, reso attraverso un escamotage tipicamente pirandelliano: l’omicidio colposo di Mike ai danni di sua madre, investita con un trattore manovrato con troppa imprudenza.

E’ il momento che scompagina definitivamente le carte e rompe gli equilibri, innescando la discesa agli inferi, che Matanic persegue con convinzione, con l’evidente intento di non concedere sconti a personaggi e pubblico, ma senza mai perdere di vista la prospettiva fornita da un’ironia dissacrante e molto feroce. La visione non è fatalista, poiché non ci si viene a scontrare con un destino che impone scientemente l’infelicità, ma con una serie di eventi causati da errori, colpe o difetti personali dei personaggi. Mike, quindi, sconta la propria superficialità, più volte scambiata per agire eccentrico e perdonata in nome delle sue abilità sportive; Olga (la straordinaria Areta Curkovic) diviene vittima della sua innata tendenza autodistruttiva, mentre Joso è alle prese con la vicenda forse più drammatica, sebbene meno evidente, silenziosa come il suo personaggio, testardo nel cercare l’acqua nel pozzo e nel rifiutare di acquistare delle bottiglie o di ricevere aiuto dall’odiato suocero. L’incidente di Mike ha quindi il sapore di un risveglio, di una caduta del velo che permetta ai personaggi di prendere coscienza dei propri limiti e della propria miseria, sebbene poi il vivere questi momenti sia diverso, meditato, a volte molto tormentato (per Mike), altre mediato da un volto che non lascia trasparire emozioni (come accade con Olga) e che per questo rende il malessere introflesso, fino all’improvvisa esplosione finale.

In mezzo l’attesa per il referendum, che diventa paradigma di una impossibile rinascita per una comunità incapace di creare relazioni, limitate soltanto ai fuggevoli contatti nel “cinema di Lika”, una sala pubblica attrezzata per le visioni dei film: un luogo che diventa suo malgrado il crocevia delle relazioni possibili tra i personaggi, dove Olga cerca di attirare l’attenzione di Mike, salvo vedersi ancora una volta ignorare. Il posto, peraltro, trova un contraltare nelle due sale dove vengono organizzate le feste rispettivamente a favore o contro il referendum, dalle quali i giovani del paese si spostano per inseguire i musicisti (ingaggiati da entrambi i promotori e quindi costretti ad alternarsi sui due palchi): altro momento efficace per ribadire l’ignavia di una comunità che segue la convenienza del momento e non pensa a una felicità di lungo periodo, che ha bisogno perciò del momento “forte” per innescare il processo di autocoscienza, e naturalmente questo non potrà che risultare poi devastante.

Le dinamiche che il film mette quindi in campo, sebbene generino anche opposizioni tra i personaggi (ad esempio fra Joso e sua moglie), lasciano emergere uno scenario di convivenza formale tra anime che vivono i loro tormenti in solitudine, all’interno di uno spazio apatico dove si rende pertanto necessario un secondo avvenimento, che faccia il paio con l’incidente iniziale per far giungere a conclusione la vicenda: un evento che nel suo arrivo finale avrà un sapore quasi biblico, come la pioggia delle rane di Magnolia, sebbene decisamente meno azzardato nella sua manifestazione. Pertanto Kino Lina è un’opera di traiettorie dell’anima, che però non dimentica e anzi pone al centro della scena i corpi, martoriati e offesi dalla sete o dall’autoflaggellazione, fino al momento indimenticabile in cui Olga cerca il piacere da tutti negatole strisciando nel fango con i suoi amati maiali: una scena che ribadisce i toni forti cari al regista, la sua necessità di scuotere in profondità lo spettatore per non lasciarlo indifferente e che hanno attirato al film le conservatrici accuse di ricercata sgradevolezza da parte di Variety. Un momento di straordinario eccesso che dà la cifra di un film materico, doloroso e perciò estremamente vitale.

Premiato in numerosi festival (buon ultimo è arrivato l’Ulivo d’Oro al Festival del Cinema Europeo di Lecce 2009), il film rappresenta il quinto lungometraggio da regista per Dalbor Matanic, e si spera che possa concludere la sua corsa nei cinema occidentali.


Kino Lika
Regia: Dalibor Matanic
Sceneggiatura: Dalibor Matanic, Milan F. Zivkovic (da un libro di storie di Damir Karakas)
Origine: Croazia/Bosnia Erzegovina, 2008
Durata: 122’

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