Due ragazzi, Zakes e Beth, viaggiano in auto lungo una statale sferzata da una pioggia torrenziale: lui deve fermarsi a ogni stazione di servizio per affiggere alcuni manifesti pubblicitari e il rapporto fra i due è segnato da continui litigi. D’un tratto Zakes sembra intravedere, nel rimorchio di un camion che lo precede lungo la strada, una ragazza urlante. Dopo aver chiamato la polizia ed essersi fermato alla successiva stazione di servizio, il ragazzo ha un ennesimo litigio con la compagna e i due si separano. Ma quando Zakes torna indietro per recuperarla, Beth è sparita e gli indizi lasciano pensare che sia stata rapita dall’autista del misterioso camion. E’ l’inizio di una notte di tensione!
Opera d’esordio di Mark Tonderai, già attore e dj per la BBC Radio1, che qui si cimenta nel doppio ruolo di sceneggiatore e regista, affidando poi interamente la narrazione all’interprete William Ash, che riesce a districarsi bene fra le varie situazioni offerte dal copione, regalandoci un bell’esempio di performance fisica, totalmente immersa nella vicenda. In effetti che Hush, a dispetto del titolo sia un film ossessivo è indubbio, nonostante l’assunto da road-movie porti l’azione a spaziare parecchio. Anzi, parte dell’interesse del film sta proprio nella dialettica che mette in scena fra spazi claustrofobici (il rimorchio del camion, i bagni pubblici, gli abitacoli, le abitazioni) e la vastità degli spazi nei quali protagonisti e macchine si muovono (la statale, i campi, le case immerse nel nulla). D’altronde il film racconta dichiaratamente di un difficile incontro di mondi nel momento in cui eleva la particolare situazione thriller ad archetipo del conflitto tra due innamorati: il rapimento con conseguente avventura per ritrovare l’amata diventa infatti per Zakes un momento di espiazione delle proprie mancanze in quanto compagno spesso assente e superficiale; e, va da sé, la perdita assume anche valore in quanto momento qualificante per comprendere l’importanza di chi non è più vicino.
Temi senz’altro semplici, ma che il film manovra con convinzione, non preoccupandosi di essere a ogni costo originale: d’altronde la struttura è puramente di genere, con tutto ciò che ne consegue in termini di esemplificazioni e ingenuità. Il protagonista quindi corre, ansima, si ferisce, si nasconde, spesso sbaglia, è avventato e stimola in questo modo l’attenzione dello spettatore che secondo un meccanismo tipico del thriller, passa dall’identificazione per il dramma alla posizione critica di chi teme per il destino che un singolo errore può determinare.
Quel che poi resta è ancora una volta lavoro di regia: praticamente tutto il film è girato con la macchina a mano, secondo lo stile più recente, tipico non del Real-movie (il film non è certo in soggettiva, ma adotta un punto di vista tradizionale), ma di quella espressività propria di chi si vuole immergere nell’azione per comunicare l’urgenza del momento. In questo senso la “sporcizia” dell’inquadratura “mossa” scontorna i luoghi dell’azione regalando una qualità espressionista che impedisce allo spettatore il conforto della chiarezza dei fatti. La stessa visione della donna prigioniera nel retro del camion è quasi una fulminea visione, un flash, del quale è pure lecito dubitare, potrebbe in fondo essere soltanto un sintomo del nervosismo e della stanchezza che affligge un protagonista collerico e frustrato per la crisi in atto nel suo rapporto di coppia. E il successivo tour-de-force impedisce di pensarci troppo delegando tutto al finale risolutore.
In questo modo Tonderai riesce a conferire al film una qualità espressionista, complice anche un bel lavoro con il direttore della fotografia Philipp Blaubach, che satura i colori al punto giusto, creando un impasto di tinte, fra il nero della strada, il blu delle carrozzerie, i gialli e i rossi delle varie luci che compaiono sulla statale. Anche questo in fondo contribuisce a confondere le percezioni regalando a una vicenda ben codificata un look non banale e vagamente visionario.
Ne viene fuori un puro meccanismo della tensione, fatto di sentimenti forti e traiettorie in continuo rinnovamento, che si articola attraverso una narrazione tesa e stringata, capace di esaurire completamente il suo scopo nei canonici 90 minuti di durata, omaggiando anche classici come Duel o il mai troppo lodato The Hitcher, ed evitando per fortuna la facile lusinga di creare il classico villain da B-movie (nonostante il killer si comporti proprio come un boogeyman senza volto, con il suo agire calmo e apparentemente distaccato). Piccoli grandi meriti che permettono ad Hush di ritagliarsi un giusto spazio nel panorama già abbastanza ricco delle proposte d’oltremanica.
Il film è stato presentato al Ravenna Nightmare Film Fest 2008 e al momento non si hanno notizie di una possibile distribuzione italiana.
UPDATE: distribuito in Italia attraverso il solo circuito dell'home video il 24 Gennaio 2013, con il titolo Panico - Hush.
Regia e sceneggiatura: Mark Tonderai
Origine: Uk, 2008
Durata: 90’
1 commento:
Insomma, niente di nuovo sotto il sole, però fatto bene no? Essendo amante dell'horror e del thriller cercherò di guardarlo comunque.
Ale55andra
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