"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

sabato 16 novembre 2013

Il castello nel cielo

Il castello nel cielo

Fuggita da un'aeronave dopo l'attacco di alcuni pirati, la giovane Sheeta viene soccorsa da Pazu, un ragazzo che lavora in miniera e che sogna di ristabilire il nome di suo padre, morto in disgrazia dopo aver avvistato la leggendaria isola volante di Laputa, a cui nessuno crede. Sheeta, peraltro, porta con sé un'aeropietra, un monile le cui origini risalgono proprio a Laputa e che la rende appetibile tanto ai pirati (che non smettono di inseguirla) quanto al Colonnello Muska, un sinistro funzionario governativo che intende raggiungere l'isola volante per carpirne i segreti. Durante la fuga, Pazu apprende che Sheeta stessa discende dalla stirpe reale di Laputa e si allea con i pirati per raggiungere l'isola del cielo.


E' il primo lungometraggio ufficialmente realizzato sotto il marchio dello Studio Ghibili, fondato da Hayao Miyazaki e soci dopo il sorprendente successo del precedente Nausicaa della valle del vento: il film vanta peraltro una distribuzione abbastanza sfortunata nel nostro paese, dove era uscito direttamente in DVD per la Buena Vista nel 2004, salvo essere poi ritirato dal mercato dopo poche settimane, lasciando in tal modo mano libera agli speculatori disposti a vendere a peso d'oro l'agognato dischetto. Per fortuna ci ha poi pensato la Lucky Red a fare giustizia, con un'uscita nelle sale nella prima metà del 2012 (cui è seguita quella nei formati dell'Home Cinema).

Il continuo rimpallo delle date ci consegna perciò un'opera letteralmente fuori dal tempo, ambientata non a caso in un passato dove le automobili sono rarità, e la civiltà di Laputa si è estinta, lasciando però in eredità avanzatissime conoscenze tecnologiche che fanno gola al cattivo di turno: un futuro “anteriore” dove il regista ha modo di articolare le sue tipiche ossessioni da post-apocalisse potenziale, tanto che il tono appare in continuità con l'odissea fantasy di Nausicaa e più schiettamente avventuroso di quanto non avverrà con le opere della maturità. In effetti, a ben guardare, Il castello nel cielo è oggi definibile come una pellicola che chiude un ciclo, con cui Hayao Miyazaki paga cioè il meritato tributo alla prima fase della sua carriera, quella che si era articolata in misura maggiore negli ambiti della serialità televisiva: se, infatti, stilisticamente il ritmo è più franto, diviso da dissolvenze a nero che sembrano quasi scandire una serie di capitoli, narrativamente la vicenda di Pazu e Sheeta riflette il dinamismo dell'azione di Lupin III - con ovvio riferimento al film Il castello di Cagliostro, che aveva segnato l'esordio cinematografico dell'autore.

Il rapporto fra i due bambini e la loro opposizione a un nemico bellicista e animato da sete di potere, sullo sfondo garantito da una doppia realtà ugualmente proiettata fra la natura che ha invaso Laputa e l'orrore che le macchine dell'isola sono in grado di scatenare, fa però pensare soprattutto a Conan il ragazzo del futuro, la serie che aveva letteralmente rivelato il talento di Miyazaki nel 1978: una sovrapponibilità che è tale non solo dal versante narrativo, ma anche da quello più squisitamente iconografico, con uno scenario naturale attraversato da bizzarre creazioni meccaniche, mentre i pirati di turno appaiono come dei simpatici pasticcioni che alla bisogna possono anche convertirsi al bene: né più né meno come accadeva con il celebre Capitano Dyce – e non ci sembra un caso che Dola, la volitiva matrona dei pirati, si impunti perché Pazu la chiami, appunto, “Capitano”!

Ne viene fuori un'opera fra le più “porose” di Miyazaki, regista che, pur essendo sensibile alle storie altrui (pensiamo a come molti suoi lavori siano di derivazione letteraria), è quasi sempre solito descrivere spazi e mondi che diventano inevitabilmente suoi, e che qui si fanno invece cartina di tornasole di un immaginario composito e perfettamente addentro agli umori della propria epoca: si respira in tal modo un senso di libertà inedito anche per la filmografia stessa dell'autore, dove la facilità con cui i corpi si muovono nel cielo, su precipizi, piante e interstizi del reale (senza mai provare alcuna vertigine) si riflette in una struttura che mette insieme agevolmente formato seriale, derivazioni letterarie (Laputa proviene da I viaggi di Gulliver di Jonathan Swift), e anche gli umori della fantascienza coeva.

Sebbene il testo seminale del post-apocalittico nipponico degli Ottanta arriverà solo due anni dopo (il riferimento, naturalmente, è ad Akira), il film respira infatti di atmosfere vagamente cyberpunk, in cui lo stile sembra cercare una sintesi fra la tipica tensione naturalista cara all'autore e le possibilità distruttive insite nella tecnologia. La dicotomia natura/progresso si stempera in un caleidoscopio visivo tipicamente ottantesco nelle scelte cromatiche (dove fanno capolino tonalità elettriche e scenari di matrice a tratti espressionista e futurista) che, pur non derogando mai dalla classica dicotomia buono-cattivo, sembra in più passaggi solleticare l'idea di una coesistenza possibile fra gli opposti.

Laputa in tal modo si configura come una possibile terra delle opportunità: il luogo cioè dove non solo i fronti possono ricompattarsi (i pirati e i bambini che si alleano), ma dove è anche possibile coniugare tecnologia e natura, al punto che la seconda è affidata a giganteschi robot pure dotati di incredibile capacità distruttiva (e che ricordano i giganti di Nausicaa, giusto per rimanere nel cerchio dei riferimenti). Un mondo che non a caso sta fra la concretezza della pietra in cui è intagliato il suo spazio e la dimensione favolistica garantitale dalle leggende e dal passaggio fra le nubi, a sua volta memore delle atmosfere del Mago di Oz. Fantasy e fantascienza trovano sul suo terreno un recinto fertile, dove articolare le rispettive pulsioni, e non ci sembra un caso se la parte finale diventa un coacervo di visioni che stanno fra le anticipazioni di Otomo e James Cameron (pensiamo agli Avatar e ai Titanic a venire) e vaghe reminiscenze da Guerre stellari (il raggio distruttore che riecheggia quello della Morte Nera).

In tal modo, più che un'opera di sintesi, Il castello nel cielo, finisce per diventare un'evoluzione del pensiero che guidava il primo Miyazaki e un completamento di anni di lavoro: il fatto che tutto questo si articoli attraverso le forme della “semplice” avventura ce lo rende ancora più amabile e prezioso, oltre che sempre straordinariamente attuale.


Il castello nel cielo
(Tenku no Shiro Rapyuta)
Regia e sceneggiatura: Hayao Miyazaki
Origine: Giappone, 1986
Durata: 124'

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