"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

giovedì 9 aprile 2009

La belle personne

La belle personne
 
Dopo la morte dei genitori, Junie si trasferisce a casa del cugino Matthias e contestualmente si iscrive al suo liceo. La ragazza non tarda a suscitare la curiosità e l’interesse degli altri studenti e ben presto inizia una storia con Otto, tranquillo e rassicurante, ma allo stesso tempo è attratta da Nemours, professore d’italiano dall’aspetto inquieto e malinconico, che si innamora perdutamente di lei. Si innesca in tal modo una dinamica fatta di desiderio e timore che porta Junie a non voler cedere a un sentimento che vede come illusorio e destinato a non durare. Il tutto condurrà a un drammatico finale.

E’ raro imbattersi in un’opera intellettualmente onesta al punto da raccontare il primo amore con rispetto, conferendo dignità ai giovanissimi protagonisti e senza cadere in dinamiche modaiole. Christophe Honoré lo ha fatto, regalandoci una pellicola splendidamente intensa e capace di dimostrare come sia possibile raccontare un’età per molti versi ancora incompresa, come è quella adolescenziale, con lo stesso piglio che si utilizza con storie d’amore più adulte. Vien da pensare che il percorso cinematografico che dal lontano Tempo delle mele ha portato a La belle personne abbia permesso il maturare di una consapevolezza del reale che ha immerso questo tipo di racconto nei sentieri del puro melò, sganciandolo dalle stantie emulazioni della commedia demenziale, nella quale invece stazionano ancora i tristi esempi italiani (si veda a tal proposito il desolante Notte prima degli esami).

Il film risulta pertanto iscritto fra due momenti tragici che scandiscono l’inizio e la fine del racconto: il primo è la morte dei genitori di Junie (la bellissima Léa Seydoux), quello che resta in perenne fuoricampo, ma è continuamente evocato ad ogni snodo narrativo e costituisce una pesante eredità con la quale la giovane deve confrontarsi e sulla quale è modulato il suo agire nei confronti della vita e del nuovo sentimento che le si offre. Un agire trattenuto, sofferto, che si pone in continuità con la sua lunare bellezza e che la porta a essere un corpo che suscita desiderio ma anche un’anima fragile, divisa dai percorsi del destino perché indecisa se accettare la normalità del rapporto con un giovane e rassicurante coetaneo o l’incerto futuro al fianco del professore. Un personaggio che quindi è al contempo causa scatenante delle dinamiche interne all’universo che la circonda, ma anche inconsapevole vittima dei meccanismi che (suo malgrado o meno) innesca. Non che peraltro Nemours sia meno sfaccettato: inguaribile rubacuori (interpretato non a caso dall’iconico Louis Garrell), in continuo movimento fra più relazioni instabili, si ritrova stavolta alle prese con il primo, vero, innamoramento ed è costretto a una maturazione mai affrontata pienamente.

D’altronde che nell’economia del racconto siano i giovani a costituire la vera forza del tessuto sociale è indubbio, mossi come sono da una piena consapevolezza del proprio stare nel mondo, ma comunque inquieti rispetto alla forza trascinante dei sentimenti: sicuramente più maturi di quegli adulti che invece risultano assenti o incapaci di costituire un’idea di certezza (come accade appunto con Nemours). Ne viene fuori un ritratto giovanile che è quello di una microcomunità coesa pur nelle singole differenze, formata da personaggi un po’ dandy e dotati di una spiccata personalità, espressione di una generazione che sa essere anche colta ma non artificiosa, certamente ancora acerba nei confronti della vita, ma in fondo già “grande” nei modi e nei dialoghi. Probabilmente è questo l’elemento che più di altri tradisce la filiazione dal romanzo La principessa di Clèves, scritto da Madame de La Fayette nel 1678.

Il tutto evita pertanto i facili moralismi sulle distanze imposte dai ruoli (lei studentessa, lui insegnante) per lasciar emergere il precipitato umano dei personaggi coinvolti, che appaiono vivi e pulsanti di un sentimento in grado di lacerarli. Sarà proprio questo a condurre la storia verso il tragico momento finale, che arriverà a spezzare l’equilibrio delle distanze, il progredire delle indecisioni, e darà forma alla componente più dolorosa insita nel sentimento, costringendo Junie a una necessaria decisione.

Le strategie amorose che il film pone in essere denunciano inoltre la natura evidentemente superflua del linguaggio, sia esso parlato o scritto, all’interno di una storia dove pure il ruolo della comunicazione è importante, essendo Nemours un insegnante di italiano che però non riesce a dare seguito alle sue certezze, così come accade ad altri ragazzi che vivono i loro amori in clandestinità e le cui lettere finiscono per dare vita a equivoci che ossequiano le dinamiche tipiche del filone sentimentale giovanile, e che qui non sono utilizzate in funzione ironica, ma per amplificare anzi l’impressione di un microcosmo confuso. D’altra parte Honoré dimostra di conoscere molto bene la materia che tratta e gli artifici necessari a creare l’empatia con il pubblico cui si rivolge: va notato a questo proposito anche l’uso estremamente raffinato della musica, i cui testi spesso risultano direttamente esplicativi dei sentimenti che i protagonisti esprimono soprattutto con i gesti, creano straordinarie sovrapposizioni coni i dialoghi (come nell’ultima passeggiata di Otto per i corridoi scolastici dove il ragazzo "canta" le strofe della canzone contemporanemente in sottofondo) oppure diventano poesie da leggere in classe (accade con la celebre Sarà perché ti amo dei Ricchi e Poveri). L’intero insieme dei brani, peraltro, costituisce una colonna sonora che pur nella natura pop dei singoli brani non scade mai nel banale.

Per tutto questo il racconto emerge come raffinato eppure popolare, capace di parlare al cuore di più generazioni e si spera che, dopo l’anteprima al Festival del Cinema Europeo di Lecce 2009 (dove ha vinto il premio per la migliore sceneggiatura), veda presto una distribuzione ufficiale in tutta Italia.


La belle personne
Regia: Cristophe Honoré
Sceneggiatura: Cristophe Honoré, Gilles Taurand, liberamente ispirato a La principessa di Clèves, di Madame de La Fayette
Origine: Francia, 2008
Durata: 90’

2 commenti:

Tamcra ha detto...

Molto interessante questo adattamento libero dalla Princesse de Clèves (anche alla luce della polemica in Francia con Sarkozy che ha dichiarato di non voler leggere questo romanzo - pare che lo odi, chissà- e di essere per questo un buon capo di Stato).
Tanti auguri di Buona Pasqua a te e a tutti i lettori di Rodan!

Alberto Di Felice ha detto...

Avevo letto il pezzo di Scott sul NY Times, che non ne era proprio entusiasta. Adesso credo lo recupererò, senza aspettare l'uscita, dato il mio periodo di recupero dei francesi recenti.