Viaggio a Tokyo, di
Vincenzo Filosa
La citazione
(volontaria?) dal capolavoro di Yasujiro Ozu non tragga in inganno:
il viaggio del titolo è qui una quest dal sapore
autobiografico con cui il fumettista calabrese Vincenzo Filosa
racconta il suo incontro-scontro con la cultura nipponica nella
capitale di quel lontano paese. Appassionato di fumetti e con una
particolare curiosità verso gli aspetti meno noti del manga, Filosa
ha infatti visitato la città giapponese per istruirsi direttamente
“sul campo” e emulare così i maestri del manga e del gekika:
quale sia la differenza tra queste due forme espressive ce lo
racconta il suo alter ego Francesco che, per l'appunto, viaggia a
Tokyo per fare incetta di volumi e studiare lo stile dei mostri
sacri. In primis Osamu Tezuka, il “dio del manga” che qui appare
più come un riferimento per il genere che come modello del lavoro di
Filosa, maggiormente legato al gekika, il manga “adulto” e
“realistico” che ha il suo esponente di maggior spicco in
Yoshihiro Tatsumi (autore di Una vita tra i margini, in Italia
per Bao).
Dimostrando una volta di
più la sua intelligenza anticonformista, però, Filosa accentra la
sua attenzione in particolare su due figure meno note del filone, i
fratelli Yoshiharu Tsuge e (in particolare) Tadao Tsuge, che
Francesco letteralmente insegue nella speranza di incontrare nel suo
negozio in Edogawadai. Il racconto di questa ossessione si intreccia
con quello della vita nella capitale e con lo spaesamento che il
timido studente italiano prova di fronte alla particolare realtà
nipponica, e alla vertigine sensoriale data dall'impatto con una
metropoli variegata e non priva di punti controversi (si citano anche
i casi di suicidio ormai avvertiti quasi come rituali nelle gallerie
della metropolitana o nei boschi circostanti). Questo aspetto finisce
ben presto per assorbire la maggior parte della narrazione,
attraverso uno stile di racconto che abbraccia totalmente la visione
soggettiva di Francesco, mescolando, senza soluzione di continuità,
realtà e sogno a occhi aperti, esperienze reali e percezioni
allucinate che restituiscono un timor panico verso un mondo concreto
ma allo stesso tempo alieno.
Pertanto, la dimensione
fiction data dal fumetto si intreccia alla componente
autobiografica, in una forma intermedia fra l'estetica propria del
gekika e il racconto di formazione all'occidentale: il fumetto ha
infatti l'aspetto di un autentico manga, con tanto di senso di
lettura ribaltato e soluzioni visive debitrici dei vari maestri.
Sebbene abbastanza omogeneo nello stile, infatti, il disegno presenta
sensibili differenze tra i vari capitoli, a volte si fa più
realistico e fine nel tratto, in altri casi assume una caratura più
essenziale, con poche linee a descrivere le forme e le situazioni,
fino a momenti dichiaratamente grotteschi – lo stesso Francesco
sembra uscito visivamente da un'opera di Shigeru Mizuki, pure evocato
nelle visioni allucinate della foresta dei suicidi. Per questo motivo
il ritmo può apparire a tratti frammentato e spiazzante,
l'impressione è quella di un racconto che a volte “salta” da una
situazione all'altra, ma in questo modo riesce a riprodurre il senso
di spaesamento del suo protagonista. Trasferendo la sua curiosità
anticonformista nella stessa raffigurazione del Giappone, Filosa ci
propone un'opera piena di riferimenti alla cultura pop nipponica
(molto noti anche in Occidente), ma allo stesso tempo ci mostra un
Giappone inedito, oscuro, notturno e animato da una violenza casuale
e perciò disumana, ma dove pure è possibile stringere amicizie
forti e trovare spazio per gli affetti.
La ricerca dei propri
numi tutelari torna rilevante nella parte finale, con il possibile
incontro con Tadao Tsuge, il cui destino è bene lasciare alla
scoperta dello spettatore. L'opera è realizzata per l'editore
bolognese Canicola, che testimonia anche in questo caso la scelta per
realtà più di nicchia e anticonformiste, ma non per questo meno
interessanti.
Viaggio a Tokyo
di Vincenzo Filosa
Canicola, Bologna,
2015
264 pagine, 18 euro
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