Il regno dei sogni e
della follia
Penso
che adesso noi stessi stiamo provando l'ansia che provavano i nostri
padri e le nostre madri al tempo in cui vissero. Il non sapere dove
si vada. La guerra... non si sarebbero neanche sognati di far guerra
all'America. Né tantomeno di cacciarsi nel pantano di una guerra
contro la Cina. E tipo... mentre erano tutti obnubilati, finì per
accadere. Poi, alla fine, come per pazzia, abbiamo finito per fare
guerra ad avversari in giro per il mondo. Non ho mai ben capito quali
fossero i sentimenti delle persone che vissero in quell'epoca, ma di
questi tempi penso “Ah, erano sentimenti come questi!”. Siamo
orientati in quella direzione. E dal momento che non stiamo seguendo
una storia di cui si conosca il finale, non sappiamo cosa accadrà.
Tuttavia, ormai con questo smetto di fare film. Più di così non
potrei fare. Basta così.
(Hayao Miyazaki)
Nel 2013 si è verificata
la straordinaria coincidenza dell'uscita (quasi) contemporanea degli
ultimi lavori di Hayao Miyazaki e Isao Takahata: Si alza il vento
e La storia della Principessa Splendente. Pensati per
un'effettiva uscita nello stesso giorno (poi mancata a causa della
consueta “rilassatezza” di lavorazione di Takahata), i due film
hanno così riproposto una doppia uscita che ha un precedente nel
lontano 1988, quando le sale giapponesi accolsero insieme Il mio vicino Totoro e Una tomba per le lucciole. La
straordinarietà dell'evento ha quindi spinto la regista Mami Sunada
a immortalare in un documentario la lavorazione all'interno dello
Studio Ghibli, in un'opera di pedinamento straordinaria e capace di
restituire non solo il processo produttivo delle pellicole, ma anche
la peculiarità umane e la filosofia dei due autori.
L'attenzione, in verità,
si concentra sul solo Miyazaki, vuoi perché uomo simbolo dello
Studio, vuoi perché maggiormente loquace, in opposizione a un
Takahata che resta nell'ombra in quanto artista più schivo persino
verso i produttori. Seguiamo così le fasi di lavorazione di Si
alza il vento e i pensieri del Miyazaki animatore e uomo, spinto
da un'incrollabile energia verso il suo lavoro, ma, allo stesso
tempo, da una marcata disillusione verso il mondo circostante. Le
parole di Miyazaki, disegnano infatti con lucidità la fine di un'era
in cui il cinema sembrava poter dialogare con una realtà ora
marchiata dalla crisi economica iniziata nel 2008. Il regista è
consapevole non soltanto di essere al lavoro sul suo ultimo
lungometraggio, ma anche della fine di un sistema produttivo, ma,
come l'ultimo dei guerrieri, continua a disegnare indefesso, perché
è ciò che sa fare – in un passaggio fugace ma significativo la
regista gli chiede della moglie, di come abbia fatto a capire che era
la donna giusta per lui e Miyazaki non conosce la risposta, spiega
che è il mistero della vita, una definizione che si adatta bene
anche a tutto il suo lavoro di animatore.
Tutto questo si riflette
nel particolare approccio verso il nuovo film, che Miyazaki sembra
creare come spinto da una necessità che Suzuki definisce un dialogo
interiore, sul filo dei ricordi di un passato parimenti diviso:
splendido nelle infinite possibilità che poteva stimolare, ma poi
precipitato nel gorgo della guerra. La nostalgia si tinge perciò dei
colori dell'amarezza, in una circolarità destinata a riflettersi nel
puramente duale presente. L'incontro di sogno e follia dei titolo
diventa così quello tra il pessimismo espresso a parole da Miyazaki
(e dai vari animatori, “vessati” dal suo perfezionismo) e uno
stile visivo capace di esaltare la bellezza e il senso di serenità
trasmessi dalla natura circostante e da un ambiente di lavoro
apparentemente confortevole, dove il regista può rilassarsi salendo
sul tetto della struttura ad ammirare il cielo.
Il lavoro di pedinamento
diventa così la poetica ricerca di una sintesi fra continui opposti:
il passato, raccontato attraverso immagini di repertorio e che ci
mostrano un Miyazaki attivista e mosso da grandi ideali, e un
presente dove fare i conti con l'industria, preservando ancora, per
quanto possibile, i sogni degli anziani maestri; il punto di vista,
così, si ribalta, il dietro le quinte diventa il vero momento
qualificante di un'animazione che vedremo finita solo di sfuggita,
perché non è lì che si concentra il processo creativo e il dialogo
fra il Miyazaki uomo e l'artista, e fra lui e l'ombra sempre presente
di Takahata (un rapporto di amore-odio, di rivalità per Suzuki, ma
che allo spettatore non sfuggirà essere comunque di continuo stimolo
per entrambi i registi).
La qualità umana del
documentario sta quindi tutta nel processo di elaborazione che il
regista compie sugli spunti a lui più cari, senza lavorare a una
sceneggiatura, ma seguendo un estro che rivela le proprie finalità
nel suo farsi, dove la storia di un ingegnere aeronautico spacciato
per guerrafondaio diventa un apologo antimilitarista e dove il
“maniaco depressivo e furioso tremendo” regista (così si
definisce lui stesso) può infine scoprirsi commosso per il suo
risultato, che inneggia a una vita ancora da vivere.
Il regno dei sogni e
della follia
(Yume to kyoki no
okoku)
Regia e soggetto: Mami
Sunada
Origine: Giappone,
2013
Durata: 118 minuti
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