Unbreakable – Il
predestinato
David Dunn è un tipo
ordinario, che lavora come guardia giurata presso lo stadio di
Philadelphia e attraversa un periodo di crisi con la moglie.
Sopravvissuto al terribile deragliamento del treno su cui viaggiava,
David è rimasto miracolosamente illeso: il fatto gli attira le
attenzioni di Elijah Price, un collezionista di fumetti affetto da
una particolare anomalia genetica che gli è valsa il soprannome di
“uomo di vetro”, a causa della facilità con cui le sue ossa
tendono a rompersi. L'uomo infatti, insinua la possibilità che i
comics supereroistici si basino su un presupposto reale: l'esistenza
di esseri indistruttibili, del tutto opposti a quelli fragilissimi
come lui. E David potrebbe essere uno di loro, un supereroe che
ignora la sua vera natura. Sebbene folle, l'ipotesi inizia a farsi
strada nella mente di David, che ripensa alla propria vita: è mai
stato malato? Si è mai fatto male sul serio? Ha mai messo alla prova
se stesso per comprendere se possiede davvero dei poteri?
Oggi che il tema dei
supereroi è alquanto inflazionato, è utile riscoprire questa
preziosa pellicola di M. Night Shyamalan, realizzata nel cono d'ombra
del fortunato Il sesto senso e per questo non considerata con
il giusto merito ai tempi dell'uscita in sala. Film eccentrico eppure
estremamente raffinato – come tutti quelli del regista, peraltro –
Unbreakable è seminale nella carriera dell'autore
indo-americano per come stabilisce
la sostanza di tutto il suo cinema: lo fa attraverso il gioco di
rispecchiamenti fra la realtà “vera” e il suo doppio fantastico,
che finisce per legittimare entrambi gli estremi in una forma, per
l'appunto, assolutamente seria e realistica eppure costantemente
sopra le righe.
Così accade nel gioco di
legittimazione reciproca che si instaura fra il dimesso protagonista,
ignaro della sua natura e della propria missione, afflitto com'è da
problemi assolutamente “terreni” (il lavoro, la famiglia che va
in pezzi); e il collezionista di fumetti, lucidissimo eppure folle
nella sua tesi ultraterrena di legittimazione dell'eroe e che perciò
si situa volutamente in una sfera fantastica che il regista tratta
però con la serietà del grande racconto mitico. Il bello è già
qui, in un gioco di identità fra il dramma e i codici del fumetto
dove, ricollocando i secondi nello spazio serissimo del primo, il
regista smonta e analizza pezzo per pezzo i meccanismi narrativi del
racconto supereroico. Che non sono soltanto quelli più appariscenti
(la forza sovrumana, il potere speciale, il punto debole, il rapporto
con la propria nemesi), ma anche e soprattutto quelli ideali: la
capacità di ispirare il Bene, la forza di dare conforto a chi vive
una vita nella paura, l'esaltazione dell'atto salvifico che sollevi
il mondo dalla mediocrità.
Shyamalan osserva questa
dinamica con uno sguardo bambino – perché è nell'infanzia che
risiede la fede più assoluta nel mito e la fascinazione per il
racconto. Questo è evidente sin dall'inquadratura iniziale in cui il
protagonista David Dunn è “spiato” nello spazio fra i sedili del
treno – un punto di vista che poi scopriremo essere, appunto,
quello di una bambina. E poi innesta questa trasversalità del punto
di vista sul rapporto padre/figlio che lega David al piccolo Joseph:
che è l'unico a riconoscere immediatamente e spontaneamente la
natura supereroica del genitore. Quale figlio non “vede” infatti
nel proprio padre un eroe? Ma nella naturalezza del gesto, Shyamalan
racchiude tutto il senso della fiducia e, perché no, della
meraviglia che lega naturalmente anche il lettore alle avventure dei
propri idoli cartacei. Nello spogliare una volta per tutte i comics
dalla loro aura pop, in modo da raggiungerne l'essenza, Shyamalan li
riconduce a dinamiche quasi primigenie, che sono quelle che muovono i
gangli primari della società, e risiedono nelle prime iterazioni di
ogni uomo con la propria famiglia. Anche per questo l'elemento
familistico ha un'importanza primaria nel processo di ridefinizione e
legittimazione che porterà David a riconoscersi in quanto eroe.
Il gioco di
rispecchiamenti è dunque articolato su un continuo dualismo delle
parti che è anche continuo rovesciamento dei presupposti su cui si
basa il mondo “prima” della conoscenza del proprio doppio
fantastico: c'è l'eroe e la sua nemesi, dove uno è talmente
ordinario da non sospettare la propria invulnerabilità e l'altro è
così fragile da non far sospettare la follia ostinata che lo muove.
Shyamalan elabora questi spunti con uno stile visivo che alterna la
fissità delle figure a una mobilità del punto di vista ottenuto
attraverso lunghe inquadrature che trasmettono l'idea di una macchina
da presa estremamente leggera. La fisicità degli attori viene
ugualmente coinvolta nel processo: Bruce Willis oscilla fra la
pesantezza del proprio fisico robusto e la fragilità ispirata dalla più terrena calvizie, fino a
sparire nella scena della “vestizione” (tema ricorrente nel
cinema del regista) che lo rende una sorta di ombra fluttuante –
lieve e “bidimensionale” come l'iconografia di un comic, appunto,
ma capace anche di trasmettere l'idea ultraterrena della presenza
eroica. Al contrario, Samuel L. Jackson alterna pure la precarietà
della sua natura di “uomo di vetro” con una natura più
appariscente: vestiti violacei, bastone di cristallo, e capigliatura
diseguale si uniscono infatti a una gravità recitativa sintetizzata dal suo sguardo profondo e
vagamente spiritato, eccentrico sì, ma anche talmente evidentemente
folle da non sembrarlo.
Il finale in cui le carte
finalmente si svelano, ben lontano dall'essere un gratuito colpo di
scena – come teorizzavano all'epoca i facili codificatori dello
Shyamalan artefice di facili twist finali – tenta dunque la
saldatura fra gli elementi fino a quel momento posti in essere e
attua così il ribaltamento più ardito e feroce: quello che stempera
il successo dell'eroe nel dramma della responsabilità che si porta
dietro e di cui è a suo modo artefice. Una vera storia di origini,
dove il disastro crea la rinascita dell'uomo, ma in ultima istanza ne
costruisce anche il dolore. Nelle intenzioni circolate all'epoca da
regista e interpreti, Unbreakable sembrava dover proseguire con una serie,
forse una trilogia, ma purtroppo tutto è finito qui. Resta in ogni
caso un esperimento felice e sorprendente, ancora oggi che la parte
pop del concept supereroico ha preso il sopravvento senza possibilità
di interventi registici forti sul genere. Il primo film di supereroi
senza velleità da blockbuster, ma, anzi, da “piccolo” racconto
sul senso dell'umanità.
Unbreakable – Il
predestinato
(Unbreakable)
Regia e sceneggiatura:
M. Night Shyamalan
Origine: Usa, 2000
Durata: 106 minuti
Collegati:
Lady in the Water
E venne il giorno
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