"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

giovedì 9 ottobre 2014

Mimic (Director's Cut)

Mimic (Director's Cut)

Per sconfiggere un morbo che ha colpito i bambini di Manhattan, la scienziata Susan Tyler crea in laboratorio una nuova specie di insetti, i Judas, capaci di secernere un enzima mortale per gli scarafaggi che veicolano il virus. Tre anni dopo tutto sembra tornare alla normalità, ma Susan si imbatte in strane manifestazioni che sembrano far presumere un'evoluzione degli Judas, nonostante il loro codice genetico fosse stato “programmato” per farli morire dopo aver adempiuto al loro compito originario. Esplorando i condotti della metropolitana, la scienziata, insieme al marito Peter, del centro di controllo malattie infettive, scopre così che i Judas sono diventati enormi e riescono anche a imitare le fattezze degli esseri umani, per mescolarsi a loro nella notte e attaccarli per poi cibarsene. L'avventura nel sottosuolo vede insieme anche Josh (assistente di Peter), il poliziotto Leonard, e il lustrascarpe Manny, cui i Judas hanno rapito il figlioletto Chuy.


Per il grande pubblico che nel 1997 non aveva visto Cronos (da noi passato in sordina unicamente su Tele+), Mimic rappresentò l'occasione per conoscere Guillermo Del Toro e il suo cinema fatto di creature mostruose mescolate a un senso fiabesco dell'avventura. Per il regista, però, il film ha rappresentato per anni una ferita aperta, destinata a ricucirsi soltanto nel 2011, con l'uscita della Director's Cut. Le ragioni del dissapore furono da un lato la coeva disavventura del rapimento compiuto ai danni del padre – fatto che spinse il regista ad abbandonare il Messico, in modo da non esporre i suoi cari a ulteriori problemi; dall'altro lato, le vicissitudini produttive causate dai contrasti con i fratelli Weinstein della Miramax, che, al solito, pretendevano l'ultima parola sul girato, arrivando a imporre cambiamenti, tagli e nuove riprese ad opera di registi non accreditati (fra i nomi coinvolti, pare, anche Robert Rodriguez). Per fortuna, la fama acquisita dal regista nel tempo, ha permesso l'uscita della sopracitata Director's Cut, che rivede il montaggio, elimina le scene aggiunte arbitrariamente per garantire qualche superficiale salto sulla poltrona e approfondisce alcuni spunti. Del Toro ha infatti avuto accesso ai materiali originali, reintegrando alcune parti espunte dai produttori, pur non potendo contare sulle scene pensate ma non girate: l'idea originale, ad esempio, prevedeva un finale più cupo, con i protagonisti che, una volta in superficie, scoprivano che i Judas avevano conquistato la città, mentre ora resta l'unico e più positivo ending effettivamente realizzato.

In ogni caso, la possibilità di vedere il film che Del Toro avrebbe voluto, permette di apprezzare una migliore costruzione delle atmosfere e della suspense, unitamente a un più fitto intreccio relazionale che, ancora una volta, dice del forte precipitato umano delle sue storie. Susan è infatti abbastanza distante dalle tipiche eroine del cinema d'azione e fantastico coevo: lontana dall'androginia delle amazzoni cameroniane, è donna (una delle prime scene che la mostra con solo l'intimo addosso), moglie e madre (la Director's Cut aggiunge il dettaglio che la protagonista è incinta), ben rappresentata da una Mira Sorvino capace di passare senza soluzione di continuità da una intrinseca dolcezza, a un grinta da guerriera nel confronto con i mostri. La sua figura tara in questo modo il tono di un racconto costruito attraverso una fitta rete di rapporti affettivi e parentali, che si rispecchia poi in una società complessa e stratificata. Quello che il film mette in scena, infatti, è un mondo composito, che la macchina da presa di Del Toro indaga nei suoi anfratti, attraverso un continuo fluire fra l'alto (la New York cittadina) e il basso, con le gallerie che riportano agli albori della metropoli. Il tutto mentre la storia passa in modo altrettanto disinvolto, dalla modernità estrema degli esperimenti sul DNA all'atavica attrazione/repulsione per gli insetti e per le loro naturali capacità di adattamento.

In questo scenario, malattie e mostri si accaniscono contro gli strati più deboli della popolazione, attaccano una fabbrica clandestina con operai cinesi costretti al lavoro clandestino (altra scena presente solo nella Director's Cut) e colpendo i bambini. Sebbene le figure preposte a combattere il pericolo siano sostanzialmente riconducibili alla sfera delle autorità (lo scienziato Peter, il poliziotto Leonard), l'impressione è quella che sia necessario uno sguardo più sfumato e capace di fondere i vari livelli di questo mondo “a strati”: ecco dunque la figura di Chuy, che ricolloca nell'universo Deltoriano l'icona del bambino afflitto da apparenti problemi relazionali e capace con le sue particolarità di stabilire un collegamento tanto con gli umani che con i Judas. In lui ritroviamo sia il gusto fiabesco del racconto gotico ispanico di cui Del Toro è valoroso rappresentante, sia la continuità con i piccoli protagonisti di Cronos, La spina del Diavolo e Il labirinto del fauno, che testimonia la prospettiva privilegiata “dal basso” fornita da figure più “a latere” rispetto a quelle istituzionalizzate, che pure servono a mandare avanti il racconto.

A tutto ciò si unisce il consueto e già evidente amore per una messinscena estremamente teatrale nella composizione degli spazi e che si compiace di un gusto tattile per la concretezza dei luoghi e dei corpi, con i bellissimi uomo/insetto (creati dal grandissimo Rob Bottin), che riecheggiano umori da Fantasma dell'Opera e contribuiscono lo spostamento dalla cifra gotica tipica di queste storie a una visualità più marcatamente espressionista. I contrasti esasperati e la predominanza di colori tenui è rotta saltuariamente da improvvisi viraggi della fotografia su tinte più forti, utili a restituire lo spettro emozionale più vasto che la storia chiama in causa. Proprio la cura dell'immagine e il senso corposo delle inquadrature, insieme a un gusto particolare per la dilatazione temporale, permette al film di conservare una sua genuinità nonostante gli anni trascorsi: dove l'invecchiamento si vede tutto è negli insufficienti effetti digitali (usati per animare i Judas in movimento), tipici di un'epoca ancora acerba nell'utilizzo di simili tecnologie.

Sebbene il film resti non particolarmente distante dalla versione già vista in sala, il nuovo lavoro compiuto dal regista gli dona maggiore compiutezza, soprattutto nella prima parte in cui si stabiliscono i termini del racconto. La parte finale indugia maggiormente in un concept alla Alien (complice anche la presenza di Charles S. Dutton, già visto in Alien3), anticipando il barocchismo del Del Toro più aperto alle istanze del grande pubblico, come lo ritroveremo in Pacific Rim, Blade II o nel dittico di Hellboy. Poco o nulla da aggiungere, invece, sui due seguiti realizzati per il solo mercato dell'home video.

L'edizione Director's Cut è visibile nel Blu-Ray Disc della Eagle Pictures.


Mimic
(id.)
Regia: Guillermo Del Toro
Sceneggiatura: Matthew Robbins e Guillermo Del Toro (basata sul racconto di Donald A. Wollheim)
Origine: Usa, 1997
Durata: 112' (Director's Cut)


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