Harlequin
Il Senatore Nick Rast
è un uomo molto potente e ora ha di fronte a sé l'occasione di una
vita: la misteriosa morte in mare di un collega gli ha infatti aperto
le porte per un seggio nel governo, una nomina su cui puntano molti
potenti investitori, disposti a tutto pur di proteggere il loro
protetto. Ma, nel privato, la cagionevole salute del figlio Alex,
ammalato di leucemia, rischia di vanificare ogni felicità. Una sera,
però, il bambino guarisce grazie all'intervento di Gregory Wolfe, un
misterioso individuo apparentemente dotato di poteri magici. Da quel
momento Wolfe si stabilisce in casa del Senatore, esercitando un
grande fascino su sua moglie Sandy. Ma chi è realmente Wolfe? La sua
è davvero magia o un'abile truffa? E cosa vuole dalla famiglia Rast?
Per alcuni, il produttore
Antony I. Ginnane è il “Roger Corman australiano”, per la
spregiudicatezza con cui ha sempre tentato di riprodurre “in piccolo”
le dinamiche del cinema più grande, attraverso una formula ibrida,
ambiziosa nei risultati e nei nomi che di volta in volta riusciva a
coinvolgere, ma estremamente scaltra e “popolare” nell'uso delle
pratiche più “basse”, con sesso e violenza a far sempre
capolino. La sua fortuna inizia con il successo di Patrick,
che gli apre le porte dei mercati esteri e lo spinge a provare un
tipo di cinema australiano nei fatti, ma capace di apparire
appetibile anche al di fuori dei confini nazionali grazie al
coinvolgimento di attori americani e inglesi. E' in base a questa
dinamica che avviene il suo incontro con David Hemmings, celebre
interprete di Blow Up e Profondo Rosso, che alla fine
degli anni Settanta sta tentando il passaggio dietro la macchina da
presa: le sue prime regie, però, non hanno avuto il successo
sperato, e così l'attore inglese si lascia convincere a unire le
forze con quello spregiudicato produttore australiano, che sembra in
grado di assicurargli i mezzi per proseguire la carriera. Il primo
passo, comunque, lo vede soltanto attore, in questo Harlequin,
dove la sua presenza garantisce anche l'approdo di Robert Powell,
all'epoca sulla ribalta per l'interpretazione da protagonista nel
Gesù di Nazareth di Franco Zeffirelli. A dirigere c'è invece
Simon Wincer, futuro artefice di D.A.R.Y.L. e Free Willy,
che sotto l'ala di Ginnane ha già realizzato Snapshot.
La storia, scritta
dall'esperto Everett De Roche (lo stesso di Patrick), parte da
presupposti alquanto ambiziosi: l'intenzione è infatti quella di
attualizzare la vicenda del monaco Rasputin e della sua influenza
sulla famiglia dello Zar Nicola II di Russia (e in particolare sulla
zarina Aleksandra), ottenuta grazie alla guarigione del figlio
Aleksej dall'emofilia. A questo si unisce l'influenza storica pure
garantita da un incidente che, nel 1967, aveva visto il primo
Ministro australiano Harold Holt sparire nel nulla dopo essersi
tuffato in mare. Il titolo Harlequin (che in America diventa
Dark Forces) ammicca invece all'Arlecchino di Goldoni,
chiamato esplicitamente in causa nel travestimento finale di Wolfe.
L'influenza di Ginnane si vede in un paio di momenti shock e in
almeno una scena di nudo, ma per il resto Wincer impone un taglio elegante e decisamente lontano dagli standard tipici del cinema exploitation, più vicino perciò a
thriller ad alto budget come Il presagio. L'uso del
Cinemascope e le efficaci musiche di Brian May (soltanto omonimo del
celebre chitarrista dei Queen) contribuiscono a creare l'atmosfera giusta.
La natura ibrida viene
così sfruttata a livello narrativo, sfruttando l'ambiguità che
circonda il personaggio di Wolfe, sostanzialmente positivo e capace
di aprire orizzonti interessanti e vivificatori, ma sempre ammantato
da un'aura di mistero circa le sue reali capacità. Le barriere che
il mago abbatte sono quelle del deperimento fisico (la malattia del
piccolo Alex), ma anche quelle dell'ipocrisia che domina nel contesto
familiare alto borghese, attraverso un disvelamento degli interessi
che gravitano attorno alla figura del Senatore Nick Rast, per il
quale ogni azione si inserisce in una rete di necessità, doveri e
privilegi imposti a se stesso e a chi gravita nella sua orbita.
Ne consegue un
interessante tentativo di articolare la dicotomia magia/realtà nel
senso di uno scontro fra l'apparenza e la sostanza: in tal modo Wolfe
si offre come presenza proteiforme, un po' mago, un po' messia, un
po' maschera da commedia dell'arte, trasformista e satirico per come
mette in crisi i ruoli dei protagonisti, spingendoli a liberarsi dai
doveri imposti da una vita finalizzata soltanto agli interessi
particolari. La natura insufficiente di alcuni effetti speciali viene
riscattata da un Robert Powell perfetto nel ruolo, gigionesco e
dunque consapevole nello “staccare” il personaggio dalla realtà
circostante per aprire il racconto a una prospettiva altra,
che sia punto di vista privilegiato sulla politica e la società
dell'epoca. In tal modo i personaggi diventano protagonisti di una
continua oscillazione, dove il potente Senatore Rast si rivela
adultero, debole e manovrato dai suoi investitori, mentre sua moglie
abbandona i panni della devota consorte per lasciarsi conquistare dal
nuovo arrivato, cui confida tutte le sue celate frustrazioni. Il
piccolo Alex (su cui non a caso si chiuderà la storia) diventa così
il terreno di coltura su cui forze contrapposte agiscono per forgiare
una realtà divisa fra spregiudicato bisogno e un afflato più libero
e panico, ben sintetizzato dalle continue inquadrature su gabbiani,
mari e elementi naturali.
Ma è ancora più
interessante il fatto che questa crisi del rapporto verità/finzione
si sposi alla particolare anima di un film che fonde uno sguardo
realistico e un approccio fantastico, unendo analisi politica e uso
dell'elemento magico; la struttura è a cerchi concentrici, e ogni
possibile livello di fruizione alza ulteriormente la sfida delle
sensazioni che si tenta di far provare allo spettatore e delle
tipologie di racconto che si possono inserire nell'insieme. Per certi
versi è il punto d'approdo assoluto dell'idea di cinema composito
di Ginnane, ambientata in un “non luogo”, con interpreti
britannici, artigianale e quasi psichedelico nella sua bizzarria
eppure capace di prendersi sul serio con un tono da cinema adulto:
una strana formula che, peraltro, si situa anche bene fra una certa
sensibilità più rarefatta tipicamente anni Settanta e una voglia di
alzare la posta in gioco, più vicina agli Ottanta.
Il rischio, naturalmente,
è quello di creare disorientamento e apparire perciò come un
progetto confuso, che gioca con l'accumulo di spunti senza riuscire a
dare compattezza all'insieme: resta, comunque, un esempio
interessante e particolare di cinema di genere capace di osare
soluzioni inattese.
Il film è inedito in
Italia, e il resoconto si basa sulla visione dal DVD australiano
della Umbrella Entertainment.
Harlequin
Regia: Simon Wincer
Sceneggiatura: Everett
De Roche
Origine: Australia,
1980
Durata: 92'
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