"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

martedì 7 ottobre 2014

Inn of the Damned

Inn of the Damned

Gippsland, Australia 1896. Il cacciatore di taglie americano Cal Kincaid riesce a catturare (e poi uccidere) il fuorilegge Biscayne dopo una ricerca durata otto anni. In questo lasso di tempo, Biscayne è stato protetto da Caroline e Lazar Straulle, una coppia di anziani austriaci che gestiscono una locanda nell'entroterra. Un trauma è sepolto nel passato dei due: anni addietro, infatti, un uomo misterioso ha rapito e fatto sparire i loro figli, e, da quel momento, gli Straulle eliminano chiunque capiti nella loro locanda, mossi come sono dall'atavico terrore che ogni avventore possa costituire una minaccia alla famiglia. Quando però, a cadere vittima dei due anziani assassini è l'amico poliziotto Moore, Kincaid inizia a indagare fino a scoprire la verità.


Non c'era solo Night of Fear tra i progetti che Terry Bourke aveva presentato al network ABC: l'entusiasta regista australiano aveva infatti già pronto anche il soggetto di Inn of the Damned, poi bloccato dal naufragio della serie Fright. Bourke però non era tipo da arrendersi e riuscì infine a portare a compimento il suo progetto un paio d'anni dopo, anche se i rapporti fra la produzione e l'Australian Film Development Corporation portarono a lungaggini che fecero slittare l'uscita al 1975. Alla fine il film risultò il più costoso fra quelli realizzati fino a quel momento in Australia, complice anche l'ambientazione d'epoca. Un dato, quest'ultimo, che risulta alquanto curioso, considerata la natura quasi autarchica dell'operazione, con Bourke che si occupa di regia, sceneggiatura e co-produzione, mentre il socio (e co-produttore) Rod Hay è accreditato anche come montatore e supervisore alla post-produzione. Nel cast poi, la presenza, in un breve ruolo, di Carla Hoogeveen, riporta gli spettatori alla precedente esperienza di Night of Fear, amplificando l'idea della “factory”. L'ambizione era in ogni caso alta, l'intenzione era infatti quella di realizzare un prodotto di grande respiro con star internazionali: il ruolo di Caroline Straull era stato infatti pensato per Joan Bennet, ma divergenze di vedute con la direzione che Bourke voleva imprimere al soggetto, spinsero poi al rimpiazzo con Dame Judith Anderson, la celebre mrs. Danvers di Rebecca la prima moglie.

Il legame con Hitchcock è rivendicato dallo stesso Bourke, che definiva Inn of the Damned un “Hitchcock a cavallo”, con chiaro riferimento alla componente thriller, qui riletta in una curiosa chiave western, e sostenuta anche dalle notevoli e versatili musiche di Bob Young, capaci tanto di reggere il respiro epico delle scene avventurose (si veda la sequenza dei titoli di testa), quanto i momenti di tensione all'interno della “locanda dei dannati”. In effetti, il dato eclatante della pellicola sta nella sua commistione di elementi eterogenei, tali da renderlo un campione di bizzarria: ciò è evidente non solo per l'accostamento dei due generi sopracitati, ma anche per una progressione frammentata, in cui di volta in volta Bourke si lascia tentare da curiose digressioni che, alla fine, spiegano la durata eccessiva di quasi due ore. Il film è sostanzialmente diviso in due parti, la prima con la caccia a Biscayne e la seconda, invece, più concentrata sul meccanismo thriller/horror e sulle imprese degli Straulle. Non c'è whodunit, i ruoli sono chiari fin dal principio e Bourke gioca con la tensione, in un modo opposto a quello mostrato in Night of Fear.

Nonostante la censura dell'epoca obiettasse l'eccessivo sadismo, Inn of the Damned privilegia infatti un approccio più meditato e basato sull'esplorazione della tensione, con omicidi fuoricampo e una dilatazione dei tempi che, soprattutto nel confronto finale, raggiunge la sua maggiore efficacia. Lo stile si fa mediamente più ragionato e solo in alcuni momenti lascia intravedere quella cifra barocca che avevamo notato nel precedente lavoro – in particolare si segnala il flashback con ampio uso di grandangoli che deformano i volti e restituiscono così il particolare clima di angoscia del rapimento dei bambini; e poi la già citata sequenza dei titoli di testa che ritrae la corsa della carrozza con alcuni tagli d'inquadratura molto dinamici e prospettive esasperate, degni precursori dello stile che sarà poi reso grande da George Miller in Mad Max e nei suoi vari epigoni – l'operatore non a caso è Peter James, oggi affermato direttore della fotografia a Hollywood. In mezzo trovano spazio momenti grotteschi (quelli con Biscayne e il suo complice ubriacone) e persino una straniante scena lesbo-incestuosa fra una matrigna e la figliastra (interpretata dalla Hoogeveen). La frammentazione è palese anche nell'impianto visivo, più potente e efficace nei momenti topici, con frequenti cadute nella piattezza durante i passaggi di raccordo, con particolare riferimento alle scene in esterni.

Un prodotto che dunque staziona in un limbo a metà fra l'operazione per un pubblico ampio e dinamiche basate sull'accumulo di situazioni, tipiche del cinema exploitation: si può comunque ritrovare l'inquietudine sull'identità di un'Australia che nasconde sordidi segreti nel privato ed è afflitta dal timore per l'invasione dei propri spazi, come già visto in Night of Fear: stavolta, però, entra in gioco un elemento multietnico ben legato a una prospettiva che è fuori tanto dalle grandi metropoli, quanto dalle aperture dell'Outback, regalandoci un territorio selvaggio ma privo di aperture – le location furono rintracciate nel Galles del Sud. Uno spazio aperto che però è anche abbastanza “chiuso” e capace perciò di riflettere le ossessioni dei personaggi con un taglio da fiaba nera. Sarà anche per questo che l'operazione mantiene un suo strano fascino, nonostante la debolezza della struttura generale e la scarsa coesione narrativa, segno di come, nonostante tutto, l'intensità con cui Bourke credeva nelle proprie capacità sia riuscita a donare una certa specificità al progetto.

Poiché l'ostracismo iniziale si era ritorto in pubblicità gratuita per il precedente Night of Fear, in questo caso il Commonwealth Board non limitò la circolazione del film, limitandosi a un forte divieto per sadismo e scene di nudo. Ciò non impedì comunque l'ottimo incasso e una breve distribuzione anche negli Stati Uniti, tanto che oggi il film si fregia di una certa aura cult. Il produttore Rod Hale, nel commento audio presente nell'edizione DVD di Umbrella Entertainment lo definisce addirittura un classico. Questo resoconto è basato proprio su quell'edizione, essendo il film inedito in Italia.


Inn of the Damned
Regia e sceneggiatura: Terry Bourke
Origine: Australia, 1975
Durata: 118'

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