Il pensionante
Londra è scossa dalle
imprese di un assassino seriale noto come “Il Vendicatore” (The
Avenger), che si accanisce in particolare sulle ragazze bionde.
L'ultimo omicidio, il settimo della serie, ha però un testimone
oculare, una donna che indica l'uomo come alto e con il volto
seminascosto da una sciarpa. Nel frattempo, nella pensione gestita
dalla famiglia Bunting sopraggiunge un giovane distinto, che viene
alloggiato nella stanza al primo piano. Inizialmente l'uomo sembra
freddo e scostante, ma in breve la bella Daisy, unica figlia dei
Bunting, fa breccia nel suo cuore: fra i due esplode così una forte
passione, frenata soltanto da Joe, un poliziotto che segue il caso
del Vendicatore e che non vede di buon occhio la relazione tra i due
giovani perché è innamorato di Daisy. Intanto, mentre l'assassino
miete una nuova vittima, iniziano a serpeggiare i sospetti che
l'inquilino dei Bunting sia proprio il Vendicatore, complice la
somiglianza con la descrizione fornita dalla testimone oculare e il
fatto che si sia assentato dalla pensione proprio quando è stato
commesso l'ultimo delitto. Il fatto che Joe veda in lui anche un
rivale in amore non fa che acuire la tensione...
In alcuni testi è citato
come il primo film di Hitchcock, ma come sappiamo è invece il terzo,
dopo Il labirinto delle passioni e l'ormai perduto L'aquila
della montagna (che quindi non compare in questo percorso). Per
ammissione dello stesso autore, è però il primo vero film “alla
Hitchcock”, che introduce una serie di elementi destinati a
diventare rilevanti nel corso di tutta la sua futura produzione,
primi fra tutti quelli propri del thriller. La storia, costruita
sulla perenne ambiguità circa la reale identità del pensionante, è
tratta da un romanzo della scrittrice inglese Marie Belloc Lowndes,
che Hitchcock conobbe grazie all'adattamento teatrale Who is He?,
di Horace Annesley Vachell: la vicenda si ispira chiaramente alle
gesta di Jack lo Squartatore, anche se si predilige una dimensione
che non sia storica, quanto paradigmatica di un clima di sospetto e
paranoia per la figura del misterioso (e più generico) assassino di
giovani donne.
Così, la costruzione di
un meccanismo thriller si avvale di una precisa calibratura della
messinscena, e di un tono che nella prima parte si ritaglia anche
spazi ironici, salvo poi diventare sempre più asfissiante man mano
che l'intreccio si sposta nei territori del giallo e del melodramma,
complice il triangolo amoroso fra i tre protagonisti. Anche per
questo, il ritmo è pure divisibile in due movimenti distinti: c'è
una prima parte molto più concitata, dove Hitchcock sembra ricercare
un perenne movimento, garantito dalla grande mobilità degli attori,
interrotta saltuariamente da primi piani di grande intensità
espressiva, che pure contribuiscono a rendere variegato il tappeto
emozionale su cui poggiano gli eventi e la vicenda. Nella seconda
parte, al contrario, le azioni si fanno più ragionate, quasi
sognanti, in concomitanza con il sorgere dei sospetti e anche le
figure tendono a sovrapporsi e confondersi, a tratti sparendo negli
esterni nebbiosi (rimarcati non a caso dal titolo originale).
Il lavoro più evidente,
comunque, resta quello sui meccanismi tipici del thriller, che
contribuiscono a creare il clima di ambiguità: il regista inquadra
spesso il protagonista attraverso grate e ringhiere, descrive motivi
geometrici sfruttando i movimenti degli attori o la posizione delle
scenografie, utilizza le ombre per tracciare prospettive di matrice
espressionista, che testimoniano il suo interesse (dichiarato) per le
dinamiche visive del cinema tedesco. Il virtuosismo più celebre
resta l'utilizzo di una lastra di vetro per mostrare i passi inquieti
dell'inquilino nella stanza al piano di sopra, che è anche la prima
di tante innovazioni tecniche applicate al racconto per cui il genio
inglese sarà ricordato. In tal modo si dona forma a un timor panico
che descrive un mondo piegato dal terrore per il “mostro”, e
capace di attraversare tutta Londra, sebbene poi le azioni siano
quasi completamente costrette in interni. La teatralità esasperata
dei gesti del pensionante crea un naturale controcanto rispetto alla
concitazione estremamente “fisica” e studiatamente spontanea
degli altri personaggi, tale da iscrivere immediatamente il
personaggio in una dimensione “altra”, sottolineata anche dalla
sua posizione “in alto” rispetto al resto dei comprimari (una
soluzione che anticipa la stanza della madre di Psyco, che
riprenderà anche il motivo della lunga scalinata per accedere al
locale).
E' noto che Hitchcock non
voleva sciogliere la riserva circa la reale identità del
pensionante, lasciando lo spettatore sospeso in una dimensione di
incertezza, ma la produzione pose il veto alla scelta, complice la
scelta del divo Ivor Novello nel ruolo principale, che meritava una
destinazione certa (un destino che, ironicamente, si ripeterà con
Cary Grant ne Il sospetto). L'intromissione produttiva non
inficia in ogni caso il risultato finale, poiché - a una visione
odierna - il vero valore aggiunto del film non sta tanto nel
meccanismo giallo che spinge a chiedersi se il pensionante possa
essere davvero il Vendicatore (uno di quelli che Hithcock definirà i
suoi “McGuffin”, utili a concentrare l'attenzione del pubblico,
ma senza costituire il reale fulcro del progetto o della narrazione):
al contrario, interessa l'intreccio di eros e thanatos garantito dal
triangolo amoroso, che riconduce le dinamiche folli dell'omicida, e
quelle che muovono tutti i personaggi, a un più complesso schema di
matrice sessuale, come ben evidenziato dal volto della prima vittima
“bloccato” in un'espressione estatica, e dalla figura androgina e
sessualmente ambigua dello stesso pensionante.
Di conseguenza, si crea
una felice sovrapposizione fra la ricerca della verità e i timori
più legati alla sfera del desiderio e della gelosia: Hitchcock mette
così in scena un universo dove ogni figura è caricata di una sorta
di dualismo, che va più in là rispetto alla singola pedina fornita
dal pensionante (si noti come il corteggiamento di Daisy inizia
proprio da una partita a scacchi). Se è più facile individuare
tratti di ambiguità nella figura di Joe, vista la posta in gioco, è
interessante notare come la stessa Daisy sia una donna sempre sospesa
tra opposti, vista la sua natura di cameriera nella pensione paterna
e modella per capi di alta moda: lo stesso vale per i suoi modi,
divisi fra l'incedere elegante e distaccato della modella, e gli
atteggiamenti volitivi e spicci dell'amante passionale che non perde
un minuto per mettere a tacere gli spasimanti e prorompere in
plateali risate. Un universo insomma alquanto complesso
nell'espressione piena dei propri stimoli, e che cerca perciò la
propria valvola di sfogo nell'aggressione, sia essa quella del
Vendicatore ai danni delle sue vittime, che dei cittadini quando
tentano di linciare il pensionante. E' il primo tassello di una
produzione capace di stare sempre a metà fra l'esplorazione dei
codici narrativi di genere e l'indagine sui limiti dell'animo umano.
Da rimarcare anche le inventive didascalie, che giocano con le
insegne luminose e il perenne motivo del triangolo: difficile capire
però quanto lo stesso Hitchcock sia stato parte in causa in questi
aspetti perché la produzione, insoddisfatta del primo montaggio,
operò dei cambiamenti che, fra le altre cose, coinvolsero in larga
parte proprio i cartelli.
Il film inaugura anche la
serie dei camei dell'autore (il regista compare in realtà due volte,
in due minuscoli ruoli all'inizio e alla fine), generata casualmente
dalla mancanza di un attore. Al termine della lavorazione, Hitchcock
sposò la sua assistente Alma Reville, destinata a diventare la sua
compagna di vita: la scena finale del matrimonio, a posteriori, crea
perciò un'ulteriore sovrapposizione fra la realtà e la fiction.
Il pensionante
(The Lodger: A Story
of the London Fog)
Regia: Alfred
Hitchcock
Sceneggiatura: Elliot
Stannard (dal romanzo di Marie Belloc Lowndes)
Origine: Uk, 1927
(muto)
Durata: 90' (versione
restaurata nel 2012)
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