Sono passati quattro anni dai tragici eventi che videro l’isola di Amity teatro delle gesta assassine di un grande squalo bianco e la comunità sembra ormai aver superato il ricordo di quella esperienza. Un nuovo predatore fa però la sua comparsa, attaccando due sub in alto mare: nonostante la ferocia dei suoi attacchi, lo squalo non lascia tracce del suo passaggio, e il solo capo della polizia, Martin Brody, inizia a nutrire sospetti sulla sua presenza. Le autorità però non ci stanno e arrivano a licenziare Brody, reo di portare il panico fra la gente dell’isola. Le cose si complicano quando Michael e Sean, i due figli di Brody, insieme ad alcuni amici escono con le loro barche e vengono braccati dallo squalo.
Più che un sequel, realizzato ovviamente per capitalizzare sul colossale successo de Lo squalo, girato con maestria da Steven Spielberg tre anni prima, il film diretto da Jeannot Szwarc è quasi una parafrasi del capitolo precedente, della sua storia e del travagliato percorso produttivo. Entrambi i film, infatti, hanno attraversato una lunga fase di lavorazione, con grosse complicazioni logistiche dovute ai mezzi dell’epoca, alquanto inadatti per la grandiosa idea che si voleva esprimere; in cabina di regia, poi, hanno trovato posto due director che si erano fatti le ossa con la televisione e poi avevano creato un certo scalpore con due prodotti a basso budget (Duel per Spielberg e Bug insetto di fuoco per Szwarc); inoltre i film posseggono anche una versione cartacea che nel caso del primo Squalo è anche la fonte di ispirazione (il fortunato romanzo di Peter Benchley), nel secondo invece si tratta di una semplice (e meno conosciuta) novelisation, realizzata da Hank Searls.
Venendo al merito della storia è alquanto evidente come Lo squalo 2 riproponga il canovaccio del capitolo precedente senza apportare particolari variazioni: un nuovo pesce assassino stabilisce il suo territorio di caccia nelle acque intorno all’isola di Amity e il capo della polizia deve eliminarlo. La dinamica però è differente: nel primo film, infatti, il “non isolano” Brody (proveniente dalla città e addirittura affetto da paura per l’acqua) trovava nello squalo una efficace materializzazione delle sue paure inconsce e quindi il duello assumeva una sfumatura personale, che nel romanzo era addirittura amplificata dal rapporto di competizione che si veniva a instaurare con l’oceanografo Matt Hooper (Benchley infatti metteva in campo anche una relazione extraconiugale di madame Brody con lo scienziato).
Stavolta invece, sebbene vengano indagati più a fondo i legami affettivi fra Brody, la moglie e i figli, lo squalo appare maggiormente come una presenza aliena che giunge a turbare una calma più generale, tanto che arrivano anche a mancare i personaggi in grado di oggettivizzarne la presenza, come il già citato Hooper o un succedaneo del pescatore Quint. Il risultato è che emergono due aspetti interessanti. Il primo è quello di una elevazione a potenza dello squalo stesso, che finisce per fuggire qualsiasi verosimiglianza e diventa invece una macchina distruttrice che fa esplodere motoscafi, rovesciare elicotteri e non a caso viene eliminato con un escamotage “tecnologico”. La stessa scelta di mostrare maggiormente lo squalo, che oggi ci appare in tutta la sua evidenza come un modello meccanico, va in questa direzione: non è il mare il pericolo, non è un archetipo quello contro cui si combatte, ma un autentico e purissimo mostro. Questo aspetto peraltro era già presente nel prototipo, ma qui raggiunge una nuova dimensione. Ovviamente in tutto questo entra in ballo anche una dinamica prettamente hollywoodiana: consci di avere a che fare con un autentico blockbuster (il primo dell’era moderna), i produttori hanno immediatamente perso di vista la verosimiglianza per spingere sul pedale dell’avventura, secondo una progressione che sarà seguita a ruota da tutti gli epigoni e i sequel, lasciando scadere il genere degli animali assassini nel girone delle esagerazioni più folli (ci sarà per fortuna anche chi ci scherzerà sottilmente su, come John Sayles con le sceneggiature di Piranha e Alligator). In questo è ravvisabile una certa protervia, che però paradossalmente finisce per elevare il film rispetto agli epigoni, rendendolo un prodotto ambizioso, fatto che si riflette nella regia molto curata e spettacolare di Szwarc. Per gli epigoni c’è dunque solo la derisione spietata, come nel caso dell’orca sbranata, chiaro riferimento a L’orca assassina e sembra già di vedere in nuce i futuri sfottò incrociati, come quello del Godzilla di Emmerich in Armageddon di Michael Bay. L’era moderna va dunque forgiandosi, fatta di titoli attenti soprattutto all’impatto visivo/spettacolare, a scapito dell’eleganza narrativa, in quella escalation che porterà al popcorn movie tout court.
Il secondo aspetto interessante è il tema della rimozione che il film mette in scena e che si colora di una inedita sfumatura quasi romeriana (Zombi è dello stesso anno, anche se negli States sarebbe uscito più avanti): nessuno nel film è consapevole realmente della presenza dello squalo, gli esperti sono confusi (la biologa marina che studia il cadavere dell’orca) o lontani (Hooper che, contattato da Brody, si rivela indisponibile). E c’è chi addirittura rifiuta l’ipotesi, anche quando esistono prove abbastanza circostanziate (la foto scattata dai sub) del pericolo. Szwarc e gli sceneggiatori Gottlieb e Sackler sono anzi bravi a giocare con lo spettatore (consapevole fin dalle prime battute che lo squalo esiste) un continuo gioco di rinvii circa il disvelamento dello squalo ai protagonisti e alle autorità del luogo: vediamo dunque la creatura tentare invano di “addentare” un bagnante, essere visto da un sub che però va in embolia e non riesce a condividere con nessuno la sua scoperta, e infine accanirsi contro dei ragazzi soli nell’oceano. Tutto questo mentre i tentativi del capo della polizia Brody di far venire a galla la verità gli determinano sonore figuracce (il banco di pesci scambiato per il predatore con annesso panico scatenato in spiaggia).
Anche questo aspetto è presente nel primo film, dove è però collegato a un problema squisitamente economico che lo rende più circostanziato: accettare la presenza dello squalo significa dover rinunciare alle ricchezze offerte dall’uso turistico delle spiagge. In questo sequel, invece, l’aspetto economico non è contemplato particolarmente e il rifiuto del problema assume caratteristiche innate, che portano ad assiomi inquietanti: non lo riconosco, dunque non esiste. Proprio il classico “ignore the problem” romeriano, base fondante di una civiltà moderna egoista e sconsiderata, che arriva quindi simbolicamente a rinnegare i concetti stessi di responsabilità e di autorità licenziando il capo della polizia troppo zelante. A questo proposito è interessante notare come il romanzo di Searls adotti una soluzione ancora più radicale: nella versione cartacea, infatti, anche Brody è convinto che non esista nessuno squalo e gli indizi non lo convincono del contrario, salvo poi metterlo di fronte al fatto compiuto che, inevitabilmente, si palesa in tutta la sua mostruosità e finisce per coinvolgere direttamente gli affetti personali. A riprova di come siamo ancora in un’epoca dove pure i titoli così smaccatamente commerciali sono capaci di riflettere gli umori disgreganti che serpeggiano nella realtà.
Lo squalo 2
(Jaws 2)
Regia: Jeannot Szwarc
Sceneggiatura: Carl Gottlieb e Howard Sackler (ispirata ai personaggi creati da Peter Benchley)
Origine: Usa, 1978
Durata: 111’
Jaws 2 su Jawsmovie.com
Intervista a Jeannot Szwarc (in inglese)
Jaws 2: il fumetto
1 commento:
davvero bello il video dalla rete che hai postato...
a presto!!!
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