L’abbraccio mortale del Signore Oscuro inizia a mietere vittime anche nel mondo dei “babbani” e gli incidenti e le sparizioni si susseguono: in questo cupo clima Harry Potter inizia il suo sesto anno scolastico a Hogwarts, insieme agli amici di sempre. Le schermaglie amorose fra gli studenti ormai cresciuti si susseguono ai tentativi del preside Albus Silente di coinvolgere Harry nella scoperta dei segreti nascosti nel passato di Tom Riddle, l’ex allievo che sarebbe poi diventato Lord Voldemort. Per far questo Harry deve carpire il segreto dell’Oscuro Signore, nascosto in un ricordo di Lumacorno, nuovi professore di pozioni, convinto dallo stesso Silente a tornare in servizio dopo anni di inattività. Intanto Draco Malfoy prosegue il suo cammino verso il sentiero Oscuro, protetto dal professor Piton, che sembra aver rivelato ormai la sua natura di servitore del Male.
Manca ancora una storia (che sarà presentata in due film) per poter tracciare un bilancio definitivo sulla lunga avventura cinematografica di Harry Potter, ma questo sesto capitolo porta alla nostra attenzione alcuni aspetti interessanti che ci dicono dell’evoluzione impressa alla saga. Uno dei problemi del cinema hollywoodiano recente, infatti, sta tutto nella dicotomia che si è pervicacemente posta in essere tra i film indipendenti e i blockbuster: è una classificazione di comodo che si potrebbe confutare con molti esempi e Harry Potter è probabilmente uno di questi. Colossale nelle dimensioni, la storia del maghetto inglese è infatti caratterizzata da una medietà (da intendersi in una accezione non negativa) della messinscena che tende a restituire l’idea di un universo coerente, dove la magia è stata introiettata non come elemento fantastico, ma come parte delle cose e, come tale, non assume il ruolo di architrave del racconto o di qualità preminente dello spettacolo, secondo la logica tipica del fantasy. Harry Potter, insomma, è un racconto giovanile che incidentalmente utilizza le figure retoriche del fantasy: questo gli permette di stimolare in ogni caso la fantasia, ma di non essere succube degli effetti speciali che pure utilizza a profusione.
Certo, la regola non vale per tutti i capitoli: ad esempio Il prigioniero di Azkaban, diretto dal grande Alfonso Cuaron, lascia intravedere tutte le potenzialità, anche spettacolari, di un format che forse poteva manifestare ben altre ambizioni, ma è evidente come la carta del cinema d’autore non abbia attecchito, per volontà produttive o congiunturali, e abbia tracciato la via di un fantasy dal volto più umano. E’ una saga, quindi, sicuramente industriale, ma non meccanica come molti prodotti dello stesso genere e possiede degli elementi virtuosi che invitano a non accantonarla con superficialità.
Il principe mezzosangue ribadisce il concetto a perfezione: la storia è praticamente ridotta al minimo, in una progressione che supera le due ore e si concentra soprattutto sui caratteri e sulle dinamiche sentimentali dei protagonisti ormai cresciuti: la leggerezza del tocco permette alle scene di risultare estremamente reali e gustose, tanto da conferire alla storia una delicatezza sinora poco esplorata, che si giova anche dell’alchimia ormai stabilitasi tra i membri del cast, in particolare dei comprimari: se infatti il protagonista Daniel Radcliffe appare sempre molto controllato perché troppo conscio della centralità che il suo ruolo richiede, chi gli sta intorno si concede con maggiore trasporto e lirismo ai sentimenti che le situazioni naturalmente stimolano, regalando perciò le scene più riuscite.
Non è un caso che la regia di Yates risulti poco indovinata proprio nelle parti più colossali e spettacolari, che paiono un inutile orpello di fronte a un materiale che si apprezza ormai soprattutto in virtù della componente umana che offre. Ecco dunque le triangolazioni amorose che coinvolgono amici di ieri e di oggi, i rimorsi del professore che manipola i ricordi poiché si vergogna di aver offerto un aiuto a chi non lo meritava e le discussioni con chi chiede di non litigare per mantenere l’unità di fronte al male: tutti momenti che si stagliano come i più virtuosi e costituiscono il degno corollario del fulcro narrativo, ovvero il rapporto paterno fra Silente e Harry, culminante nella toccante sequenza in cui il mago deve sopportare atroci sofferenze e ingurgitare l’acqua maledetta. Un momento carico di umana pietà, ma anche di abnegazione al dovere, che sono poi gli elementi al cui interno si muove Harry sin dall’inizio, costretto com’è da un fato già deciso, ma da una umanità che si costruisce giorno dopo giorno.
E’ poi interessante anche il fatto che il gigante Hagrid, l’unico che non possieda legami affettivi seri con una controparte umana, non sia ugualmente dimenticato, ma si renda protagonista di una scena al tempo delicata e divertente in cui lo vediamo piangere la morte dell’aracnide Aragog. E che il percorso umano di Draco Malfoy lasci intravedere inedite sfaccettature nel cuore di un ragazzo confinato sin dall’inizio nel facile ruolo del “cattivo”.
A un mondo che viene contaminato progressivamente dal Male e che sembra rispecchiare le turbolenze del nostro presente, la saga oppone insomma la forza dei sentimenti come motore immobile della vita, capace di colorare qualitativamente ogni giornata e di offrire una gamma emotiva che rende il film, pur nella sua progressione molto sottotraccia e nella riproposizione di momenti iconici (come la partita di Qidditch o i rapporti tesi con Piton), estremamente vario. Yates, regista mediocre e artefice del peggior capitolo della saga (L’Ordine della Fenice), dimostra quindi di aver preso le misure alla materia che tratta e di concentrarsi sugli aspetti che risultano migliori, componendo un racconto che parla al suo giovane pubblico con dignità e senso paritario, trattando la materia in un modo superiore a quello di tante becere commedie e che, nella fusione con le figure retoriche del fantasy, riesce a creare un sistema di riferimenti tale da suscitare anche il piacere della scoperta e il senso della meraviglia: in questo senso il film diventa classico, e riverbera la forza di una concezione di cinema passata ma sempre attuale.
Harry Potter e il principe mezzosangue
(Harry Potter and the Half-Blood Prince)
Regia: David Yates
Sceneggiatura: Steve Kloves (dal romanzo di J.K.Rowling)
Origine: Usa, 2009
Durata: 153’
Intervista al cast
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