"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

domenica 5 luglio 2009

Transformers: La vendetta del Caduto

Transformers: La vendetta del Caduto

Gli Autobot e l’esercito americano hanno formato la NEST, una squadra speciale per affrontare le incursioni dei Decepticon, e in questo modo vengono a sapere che Fallen, un antico avversario, sta per tornare: il suo scopo è catturare Sam, nella cui mente, attraverso un residuo frammento di Allspark, si è riversata l’intera conoscenza dei Transformers. I Decepticon fanno quindi risorgere il loro leader Megatron e, dopo aver palesato la loro presenza al mondo, riescono a uccidere Optimus Prime, mentre la NEST viene smobilitata dal governo, desideroso di non lasciarsi coinvolgere in una guerra che ritiene estranea al genere umano: Sam deve quindi far da sé, insieme agli Autobot ancora al suo fianco e agli amici umani, la fidanzata Mikaela, l’amico sbruffone Leo, e il vecchio rivale di un tempo, l’agente Simmons.

Probabilmente, se Michael Bay dovesse identificarsi in un Transformer la scelta ricadrebbe sul gigantesco villain componibile Devastator, capace di divorare e distruggere ogni cosa al suo passaggio: è in fondo la sintesi perfetta di un sequel che mostra decisamente i muscoli e che nello stesso tempo rivela in filigrana il percorso artistico che questo controverso regista ha intrapreso da alcuni anni. Non è un mistero, d’altronde, che Bay non sia un autore quanto uno shooter (secondo la felice definizione coniata da John Carpenter), ovvero un regista interessato soprattutto a girare metri di pellicola, ma privo di un immaginario di riferimento: non che nella sua filmografia non manchino momenti topici (chiunque riconoscerà alcune figure che da tempo ritornano, dalle meteoriti agli elicotteri, alla patinatura di un universo in bilico fra pacchiano e sensuale), ma non sono che elementi privi di una coesione, incapaci di dare forma a un universo immaginifico forte e proprio: come il Transformer formato da mille sfere d’acciaio e privo di spessore, insomma.

E’ il motivo per il quale, peraltro, Bay ha bisogno di un immaginario forte su cui poggiare la sua enfatica visione (l’alternativa è il disastro di Pearl Harbor) e i Transformers, fortunatamente, hanno sopperito allo scopo, dotati come sono di una formula dinamica, che nel tempo ha saputo adattarsi alle esigenze dei vari artefici che li hanno plasmati in formule sempre diverse (fumetti, saghe televisive in 2-D, film dal vero, lungometraggi cinematografici, serie in CGI) dando vita al fenomeno transmediale che tutti ormai conosciamo. In questo modo Bay può permettersi stavolta di spostare l’ago della bilancia dalla sua parte sul versante visivo, ma sempre facendo leva sulla lezione fornita da Steven Spielberg, produttore-autore già visibilmente molto presente nel precedente film e che qui fornisce spunti soprattutto per la seconda parte, costruita su un modulo tematico, espressivo e narrativo degno della saga di Indiana Jones.

In questo senso l’alternanza di comicità, romanticismo e azione, da molti considerata a torto infelice, è in realtà la stessa che anima le avventure del celebre archeologo: sono cambiati ovviamente i tempi, e poiché lo schema originale da solo non funziona più (basti vedere il mesto risultato artistico del Teschio di cristallo), c’è ora bisogno di nuove figure di riferimento, capaci di essere in linea con l’estetica del nuovo cinema digitale, e i robot creati dalla Hasbro, ancora una volta, fungono perfettamente allo scopo.

Tutto questo per evidenziare come Transformers: La vendetta del Caduto sia un film funzionale e funzionante rispetto a istanze tra loro divergenti e pertanto costruito proprio sulla convergenza di forze in opposizione: il tema di fondo, dunque, è, una volta di più, quello (spielberghiano) del recupero di un tessuto unitario (rintracciato nella memoria) che permetta la conciliazione di elementi opposti, che vanno da concetti più grandi (razza umana e robotica, passato e presente, sopravvivenza e sviluppo tecnologico) ad altri riconducibili a sfere più personali e intime (il rapporto sentimentale fra Sam e Mikaela, minato da distanze, gelosie, incomunicabilità e gustosamente costruito sull’eterno rimandarsi di una dichiarazione d’amore).

Il tutto peraltro si riassume nella capacità metamorfica stessa dei robot: un’attitudine che nel primo film era l’unità di misura della meraviglia, in una pellicola che mirava (riuscendoci) a stupire il pubblico: non potendo ripetere il miracolo di fronte a un’utenza ormai abituata allo spettacolo dei robot che “prendono vita”, stavolta quella capacità resta comunque il più efficace metodo di valutazione per misurare la distanza fra gli opposti, nella ricerca di un tessuto connettivo che ricomprenda le storie delle due razze in un intero e, ancora una volta, permetta di reimparare a vedere il mondo come un’unità complessa nella somma delle sue tante diversità, spesso divise da problemi e diffidenze (come quelle che, ad esempio, animano il personaggio del consulente alla sicurezza nazionale Galloway, ostile agli Autobot). Non come uno scomparire di una razza nell’altra (deriva sintetizzata dal personaggio della Pretender Alice, un Transformer che assume sembianze umane), ma un tracciare un percorso da condividere nella propria specificità.

Il resto lo fa Bay con il suo incedere magniloquente, a tratti davvero eccessivo, ma liberatorio, che costruisce nella distruzione e chiede allo spettatore di lasciarsi andare al piacere di un’avventura che travalica i limiti. Ecco dunque che, alla fine, la trasformazione che il film compie in maniera più netta è quella tra gli universi degli stessi Spielberg & Bay, sintetizzata dall’upgrade finale di Optimus Prime e Jetfire: il presente di Bay si unisce al passato spielberghiano, una tradizione di cui Transformers vuole evidentemente fare parte pur mantenendo la sua autonomia.

Transformers: La vendetta del Caduto
(Transformers: Revenge of the Fallen)
Regia: Michael Bay
Sceneggiatura: Roberto Orci, Alex Kurtzman, Ehren Kruger
Origine: Usa, 2009
Durata: 145’

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1 commento:

MonsierVerdoux ha detto...

eheh, bella (e azzeccata) la tua visione di Bay come Devastator...alla fin fine a me è piaiciuto un pochino più del primo episodio, ma cmq parliamo sempre di film visti tanto per passare il tempo (e ripercorrere i giorni dell'infanzia passati a giocare coi transformers...)