Lo chiamavano Jeeg Robot
Enzo Ceccotti è un
ladruncolo di quart'ordine in una Roma degradata e difficile. Un giorno, mentre è
in fuga dalla polizia, viene a contatto con dei rifiuti tossici
scaricati nel fiume Tevere e acquisisce una forza straordinaria. La
sua vita, già scossa da questo evento, viene ulteriormente
complicata dalla conoscenza di Alessia, una ragazza affetta da
disturbo da stress post traumatico conseguente alla morte dei
genitori, che si esprime in una visione compulsiva della serie
animata “Jeeg robot d'acciaio”. Scoperti i poteri di Enzo,
Alessia vede lui l'incarnazione dell'eroico Jeeg. Fra il riluttante
eroe e la sfortunata ragazza nasce così una strampalata ma tenera
relazione, anche se le capacità di Enzo iniziano a fare notizia e ad
attirare l'attenzione dello Zingaro, un piccolo malavitoso, afflitto
da manie di grandezza che lo rendono un'autentica mina vagante.
Accolto con grande calore alla Festa del Cinema di Roma 2015 e, subito dopo, a Lucca Comics & Games,
arriva finalmente nelle sale il primo lungometraggio di Gabriele
Mainetti, sostenuto con forza dal distributore Lucky Red attraverso
un'intesa campagna sui social network e l'uscita nelle edicole di una
versione a fumetti, scritta da Roberto Recchioni e disegnata da
Giorgio Pontrelli. L'accenno a Jeeg Robot nel titolo, ha comunque
disorientato una parte del pubblico, convinta di trovarsi di fronte a
una scialba trasposizione della celebre serie animata, creata dalla
Toei Animation nel 1975 a partire da un'idea di Go Nagai. Ancora sui
social network, sono così fioccate svariate polemiche, legate a un
presunto delitto di lesa maestà nei confronti del robot animato, da
molti considerato un'autentica quell'icona generazionale. Nulla di
tutto questo, in realtà, per una polemica pretestuosa, che ricorda
quella che ha pure accompagnato l'uscita di Pacific Rim, da
alcuni considerato a torto una “copia” di Neon Genesis
Evangelion (in quel caso senza considerare ovviamente il fatto
che il genere giapponese dei mecha, all'epoca dello stesso
Evangelion, aveva già almeno due decenni di vita alle
spalle...).
Per capire meglio il
senso dell'operazione è bene esplorare la precedente filmografia di
Mainetti e, in particolare, i due cortometraggi che lo hanno imposto
all'attenzione generale e dove già risaltava il sodalizio artistico con lo sceneggiatore Nicola Guaglianone - qui nel film affiancato dal fumettista Menotti. Il primo, Basette, del 2008, racconta
la storia di un piccolo rapinatore romano (interpretato dall'ottimo
Valerio Mastandrea), grande fan di Lupin III, che riesce a
coronare il sogno di “trasformarsi” nel suo eroe proprio
nell'attimo del maggiore declino, durante un colpo andato a male, che
sarà poi anche l'ultimo della sua vita. A questo segue, nel 2012,
Tiger Boy, in cui un bambino segue con passione le imprese di
un wrestler con la maschera da tigre, che diventa un modello cui
aggrapparsi per reagire agli abusi sessuali perpetrati ai suoi danni
dal preside della scuola. Il riferimento pop al celebre L'uomo
tigre non è mai esplicitato, ma risuona come un'eco ugualmente
riconoscibile dallo spettatore.
Entrambi i lavori,
raggiungibili attraverso i link qui sotto, rivelano quindi un autore
cresciuto nel pieno di un immaginario pop, che diventa il mezzo (e
mai il fine) per affrontare i risvolti più difficili della realtà:
un punto di fuga da cui raccontare di protagonisti dissociati
rispetto al mondo in cui vivono, ma che più di tutti riescono a
metterne a nudo le criticità. La citazione, in questo caso, diventa
quindi un'interfaccia per raffigurare le contraddizioni umane nella
pienezza dell'espressione artistica, e, forse, l'unico mezzo che
questi personaggi hanno per riuscire a volgere a proprio vantaggio un
mondo che li condanna a una perenne sconfitta. D'altronde, non è a
questo che servono gli eroi?
Lo chiamavano Jeeg
Robot rappresenta la naturale evoluzione di questo percorso: la
forma del lungometraggio permette infatti a Mainetti di ispessire i
termini del discorso, senza tradirne gli assunti di fondo. Riecco
quindi un protagonista disilluso e solo, costretto nel ruolo del
ladruncolo perdente, che, investito del potere e del ruolo del
supereroe, ottiene la possibilità di stravolgere la sua vita. Lo
farà innanzitutto pensando al proprio tornaconto, finché,
l'incontro con le due figure chiave di Alessia e dello Zingaro, non lo
spingeranno a mettersi in gioco sotto una nuova veste. La
triangolazione si snoda quindi fra personaggi egualmente dissociati,
ma che rappresentano una possibile alternativa al punto di vista
incarnato dall'introverso Enzo. Alessia è quello che lo investe, suo
malgrado, del ruolo di eroe attraverso l'intercessione iconica
favorita dalla figura di Jeeg Robot; lo Zingaro, invece, è il
personaggio naturalmente destinato a rappresentarne la nemesi –
che, come ogni storia di supereroi che si rispetti, altro non è che
uno speculare e un completamento dell'eroe.
Mainetti mantiene così
il tono esistenziale e malinconico già emerso in Basette e
Tiger Boy, ma stavolta apre il fantastico al confronto
costruttivo con il reale, favorendo una possibile riscrittura del
mondo attraverso gli unici modelli possibili, quelli forniti,
appunto, dalla cultura pop. In questo modo, il mito e la fantasia non
restano confinati al sogno o alla visione, ma diventano un elemento
reale, che rende il supereroe verosimile – qualcuno ha mosso
paralleli con Kick-Ass e il Super di James Gunn e il
riferimento non è peregrino. La storia di Enzo Ceccotti ha quindi il
sapore autentico di un dramma delle periferie italiche, ma possiede
anche la capacità immaginifica e fantasy delle storie supereroiche
all'americana. E quindi, così come il ladruncolo diventa suo
malgrado eroe, così il piccolo film di Mainetti diventa anche una
riflessione metanarrativa sul nostro bisogno di simboli, e su come un
racconto di questo tipo dovrebbe sempre puntare a ispirare il meglio
in ogni spettatore (laddove oggi, diversamente, tutto si esaurisce in
un citazionismo inerte e autoreferenziale, indirizzato solo a chi già
conosce il fumetto di riferimento).
Lo chiamavano Jeeg
Robot diventa perciò un piccolo grande film di supereroi
all'italiana, che ha certi crismi della commedia, ma è a tutti gli
effetti un'opera seria e ossequiosa delle “regole interne” del
filone, senza complessi di inferiorità rispetto ai modelli
anglosassoni, ma con una forza personale e vibrante. Merito anche di
una perfetta sinergia con il cast: Enzo/Jeeg è un incredibile
Claudio Santamaria, ingrassato per il ruolo e perfetto per esprimere
il misto di tenerezza e insofferenza tipici del suo personaggio; gli
fa da contraltare un vulcanico Luca Marinelli (che evolve per certi
aspetti il ruolo già sostenuto in Non essere cattivo di
Claudio Caligari) e una fragile eppure intensa Ilenia Pastorelli. Un film da non perdere!
Lo chiamavano Jeeg
Robot
Regia e produzione:
Gabriele Mainetti
Sceneggiatura: Nicola Guaglianone, Menotti (soggetto di Nicola Guaglianone)
Con Claudio Santamaria, Luca Marinelli, Ilenia Pastorelli
Con Claudio Santamaria, Luca Marinelli, Ilenia Pastorelli
Italia, 2015
Durata:
1 commento:
L'ho recensito anch'io. Marinelli miglior personaggio e interpretazione e film bello tutto. Tecnicamente, senza complessi di inferiorità, con il tocco italiano. Una storia drammatica per supportare il tentativo di fare un film superoistico ma non assolutamente un cinecomics.
Una prova registica eccezionale per essere un opera prima di un lungometraggio per un regista.
Merita di essere visto!Non solo per i rimandi a jeeg o ai supereroi
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