"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

venerdì 13 marzo 2009

Rileggendo "Watchmen"

Rileggendo “Watchmen”

Ora che i cinema di tutti il mondo sono stati invasi dall’inerte e didascalica trasposizione ad opera del sopravvalutato Zack Snyder, conviene recuperare l’originale cartaceo di Watchmen per riscoprirne i meriti precipui, in rapporto al genere dei supereroi e alla realtà di ieri e di oggi. Già, perché se esiste una caratteristica capace di sovrastare le tante degne di nota e di riassumere il lavoro di Alan Moore e Dave Gibbons, questa è la capacità di dare forma a un’opera transmediale già all’origine (basti consultare l’esaustiva pagina di Wikipedia inserita tra i link in calce a questo articolo per rendersene conto): costruito come un gioco di rispecchiamenti tra realtà, sua rappresentazione e finzione esibita, Watchmen è un racconto articolato su più livelli espressivi, che sfrutta il formato del fumetto con disarmante matematicità (la griglia visiva accetta poche deroghe a una scansione preordinata in 9 vignette verticali per tavola), ma nello stesso tempo tende a un realismo da sempre caro a Moore: basterà ricordare l’altra grande saga cartacea di From Hell dove l’immaginifica vicenda sui retroscena riguardanti le imprese di Jack lo Squartatore si iscrive nelle pieghe della Storia, indagata e ricostruita con fare certosino. Siamo quindi in una realtà alternativa che si pone come credibile, dove gli eroi mascherati sono vigilantes prima ancora che superuomini (uno solo è dotato di poteri) e il contesto svolge un ruolo fondamentale per rendere plausibile la loro storia.

La sceneggiatura approccia la materia in modo da renderla densa, alta: il dialogo ha una forza predominante, ma il lavoro di Gibbons tiene testa alla penna dello sceneggiatore e crea sequenze che nella loro apparente semplicità hanno una forte impronta cinematografica, lavora con i colori giocando spesso sulla simmetria delle vignette e dando vita a percorsi visivi all’interno delle singole tavole, sfruttando anche le affinità delle forme e degli oggetti in una logica dell’associazione visiva che rende ogni dettaglio importante. Il gioco di sovrapposizioni fra i personaggi, le loro maschere, gli specchi e fra la realtà tutta e il fumetto-nel-fumetto “I racconti del Veliero Nero”, contribuisce a dare forma a un’opera labirintica e stratificata.

Moore però non è soddisfatto e tenta di andare oltre, azzannando la materia direttamente alla gola: quelli che si offrono al lettore sono sì uomini ma anche supereroi, in un gioco che si situa a metà strada fra l’operazione revisionista e la profonda adesione alle regole, esplicitate attraverso un preciso lavoro sull’iconografia e sui cliché di genere (l’esperimento sfuggito di mano che produce il superuomo, il trauma infantile come base della decisione di indossare la maschera del vigilante, il rapporto feticistico con la violenza). L’obiettivo dichiarato è sfruttare al massimo il linguaggio del fumetto per trascenderlo e diventare opera altra: ecco dunque che, accanto alle tavole splendidamente disegnate da Gibbons, fanno la loro comparsa degli apparati iconografici che sono parte integrante della storia, ne analizzano gli aspetti da prospettive parziali ma in grado di far emergere particolari degni di nota e si pongono quindi come elementi di analisi del testo, ma anche come suo naturale prolungamento: l’universo messo in scena diventa così pienamente verosimile, sebbene la natura metacritica del racconto sia parimenti evidente.

Sovrastruttura teorica e struttura di genere quindi si fondono in un abbraccio che è allo stesso tempo intellettuale e profondamente umano, in questo universo in disfacimento, dove gli eroi sono personaggi squallidi che solo grazie alle loro maschere si differenziano da un’umanità sordida di cui si reputano salvatori, ma della quale sono invece specchio. L’eroe, insomma, è nudo e in alcuni passaggi si avverte una malinconia che arriva a spezzare il razionalismo eccessivo di un autore come Moore, che spesso affronta le sue storie con un piglio eccessivamente filosofico e poco umano, rendendo davvero Watchmen un meccanismo che travalica i suoi presupposti (quelli di genere e quelli che fondano la poetica dell’autore).

L’ambientazione nel 1985 di una realtà alternativa dove la tensione fra i blocchi è alle stelle, riflette perciò il presente della narrazione (il graphic novel uscì nel 1986) e compie un’operazione radicalmente volta al rovesciamento di segno dell’immaginario popolare, al tempo soverchiato dalle idee edoniste portate avanti dalla Reaganomics.

Ma tutto questo non avrebbe senso se non fosse accompagnato dal finale catastrofico dove Moore porta a compimento il suo percorso per re-iscrivere i suoi antieroi nello specifico del genere, attraverso un drammatico confronto finale che affonda le sue radici nelle fobie della fantascienza anni Cinquanta e grazie al quale tutti i personaggi, non senza conseguenze, troveranno il compimento della loro missione e accetteranno i loro fallimenti, approfittando della possibilità che viene loro offerta di togliersi quella maschera che hanno sempre vissuto come un peso (tutti tranne il dissociato Rorschach, l’unico che la considera come la sua “vera faccia” e che per questo si dissolverà con lei). E il bello è che, con 16 anni di anticipo, sembra di assistere a una trasfigurazione dell’11 settembre, ma con un esito completamente opposto! Il disastro diventa infatti un momento di re-inizio per un’umanità stanca e piagata dalle guerre (ignara di cosa sia realmente successo): altro interessante rispecchiamento, che stavolta travalica del tutto la pagina per affondare nella Storia contemporanea, sottraendo la vicenda al suo tempo per diventare metafora del nostro.

Ecco perché ha senso rileggere Watchmen oggi. Perché crediamo di leggere un trattato analitico sui supereroi ma invece siamo più vicini a una moderna parafrasi di Ultimatum alla Terra (testo faro della paranoia sociale e non a caso fondativo anche della fantascienza anni Cinquanta). E i protagonisti non sono più gli uomini in costume, ma tutti noi.

Watchmen
(id.)
Scritto da Alan Moore
Disegnato da Dave Gibbons
Pubblicato da Planeta De Agostini
Volume unico (graphic novel)
1985

Watchmen su Wikipedia
Dossier Watchmen
Speciale Alan Moore
Magical Mistery (Alan) Moore
Intervista ad Alan Moore (in inglese)
Malpertuis: Zack Snyder è un deficiente

Nessun commento: