"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

martedì 23 agosto 2016

Monnezza amore mio

Monnezza amore mio

A me Tomas non piace, mentre Monnezza sì. Tomas è vulnerabile, ingenuo, timido, Monnezza è coraggioso, saggio, estroverso. L'unica cosa che abbiamo in comune è il senso dello humor.” Non può esistere migliore sintesi di questa per approcciarsi a questa biografia scritta da Tomas Milian, in collaborazione con Manlio Gomarasca, culmine di quella che era nata come un'intervista (mai pubblicata) e che ha poi assunto la forma di una tela di Penelope, rinviata e limata all'infinito sino all'uscita nelle librerie, in concomitanza con il ritorno a Roma dello stesso Milian nel 2014, per ricevere il premio Marc'Aurelio alla carriera dalla Festa del Cinema.

Nelle pagine del libro c'è infatti Tomas che racconta la sua vita, dall'infanzia a Cuba, segnata dal drammatico suicidio del padre (di cui il giovane e futuro attore fu diretto testimone), la voglia di fuggire dal contesto borghese di nascita, l'amore per la recitazione sulle orme di James Dean, fino agli anni del successo romano e della tarda carriera americana quando, con un gesto decisamente coraggioso, Milian abbandonò il sicuro approdo italiano per reinventarsi come caratterista hollywoodiano e ricominciare così daccapo. La storia è in effetti quella di continui re-inizi, e continue reinvenzioni del proprio sé, sul set e nella vita, raccontata con ricchezza di aneddoti e senso dell'umorismo, ma senza risparmiare nulla sulle parentesi più drammatiche. Su tutto domina il dualismo fra Tomas e il suo alter ego cinematografico, lo sfrontato Monnezza, sia nell'originaria forma del ladro che in quella più tarda dell'ispettore di Polizia – che sarebbe Nico Giraldi, anche se Milian chiarisce una volta per tutte che il personaggio è Monnezza, a livello progettuale e di fatto, anche se non fu possibile usare il nomignolo per problemi di diritti.

Così Tomas racconta e Monnezza spesso interviene nella narrazione con i suoi commenti sfrontati e a tratti demistificatori, inscenando un finto dialogo fra le due facce della stessa personalità, e riverberando quel tema della “maschera” che ricorre in tutta la narrazione: maschere sono infatti quelle che l'attore usa per assumere di volta in volta nuove identità sul palcoscenico, ma la maschera (in senso figurato) è anche il filtro con cui Milian “recita” la sua vita, in base alle aspettative proprie e altrui – subito dopo il suicidio del padre, Tomas spiega di aver “recitato” il suo dolore, come ci si sarebbe aspettato da lui, che era invece rimasto completamente svuotato dal gesto: “Stavo recitando. E da quell'istante recitare, per me, è diventato l'equivalente di mentire, ingannare.”

Sarà anche per questo che il distacco finto e un po' sornione con cui l'attore rievoca divertito i vari passaggi della sua esistenza possono apparire come un'ulteriore maschera: lo stile è piacevole e attento a dosare le parti ironiche con quelle più problematiche, ma nel complesso il ritratto non appare mai forzato perchè Milian rivendica una filosia basata “su nient'altro che non fosse emozioni e sentimenti.

La biografia è quindi senz'altro l'ennesima rappresentazione dell'attore, dove i fatti sono reali, forse romanzati un po', ma l'attitudine di fondo è quella dell'uomo che vuole mettere in scena la verità dietro le scelte di una vita, per emettere il suo “giudizio” su quanto ha passato. Milian non si fa sconti, riconosce i propri meriti ma evidenzia anche i tanti sbagli, si definisce icasticamente “uno stronzo, ma non di quelli che dicono stronzate”, perfezionista ma generoso, uno che fugge dalla sua condizione primaria di “borghese e corrotto” per avvicinarsi sempre più alla gente, ed essere così “estroverso, allegro, simpatico, paraculo, buono, puro, dritto e comunista”. Come il “suo” Monnezza e come l'amico e controfigura Quinto Gambi.

Il ritratto riesce così a intenerire, divertire e far riflettere, perché fra le righe di una narrazione apparentemente semplice nella sua linearità emerge il travaglio di una personalità complessa, tipica di chi, raggiunti gli 80 anni, può forse considerarsi “arrivato” professionalmente, ma – a quanto pare – non umanamente, dopo un'esistenza spesa a cercare il punto di equilibrio fra l'uomo e l'attore. Nella contrapposizione fra tutte queste maschere emerge così un'umanità fatta di debolezze, cadute e successi e di una carriera piena di rischi, senz'altro lontana dall'aura del divo che pure connota la figura di Tomas Milian in più passaggi, dove la vita e il cinema si uniscono in un tutt'uno e il libro ha la vitalità di un film ma le sfaccettature di un diario. Forse, questa biografia non è che un punto di inizio e l'ennesimo film di Tomas e Monnezza deve ancora prendere forma.


Monnezza amore mio
di Tomas Milian, con Manlio Gomarasca
2014
Edizioni Rizzoli, Milano
304 pagine

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