Wake in Fright
John Grant, insegnante
in una scuola di Tiboonda, nel remoto Outback australiano, parte per
godersi le vacanze natalizie. Si ferma così una notte nella
cittadina di Bundanyabba, prima di prendere l'aereo per la Sidney,
dove lo attende la sua ragazza. Qui, però, John perde tutti i suoi
soldi in un banale gioco di scommesse: impossibilitato a proseguire
il viaggio, viene così risucchiato nella vita locale, fra
ubriacature, battute di caccia ai canguri, scazzottate e la compagnia
di Doc Tydon, un medico alcolista lucidamente dedito
all'autodistruzione. Una discesa nel degrado fisico e mentale porterà
il sempre più sconvolto John a un passo dalla follia.
Peter Weir, Fred Schepisi
e Bruce Beresford lo considerano un film seminale per come ha
raffigurato, seppur a tinte forti, un certo sentire australiano sul
grande schermo, favorendo di fatto l'idea di una cinematografia
locale, quasi del tutto inesistente al giro di boa fra gli anni
Sessanta e Settanta. Il bello di Wake in Fright, però, è che
a una tale certezza identitaria corrisponde una natura assolutamente
transnazionale, con una coproduzione fra l'australiana NLT e
l'americana Westinghouse Broadcasting Company (entrambe attive più
che altro sul mercato televisivo), e una realizzazione affidata a
maestranze aussie e protagonisti inglesi (Gary Bond e Donald
Pleasence). La regia è poi di Ted Kotcheff, filmmaker di origini
bulgare, cresciuto artisticamente nella televisione canadese. Noto ai
più per il successivo exploit di Rambo, Kotcheff riflette nel
suo cinema la propria condizione di figlio di immigrati, raccontando
il disagio di personaggi in perenne fuori sincrono rispetto al mondo
cui vanno incontro. Il John Grant qui raffigurato non fa eccezione e
la sua odissea è resa più potente dalla dinamica di
attrazione/repulsione che scontorna i confini del reale e apre la
struttura del racconto a pulsioni visionarie e ossessive.
Una carrellata circolare
apre il film e ne racchiude il senso, sintetizzando metaforicamente
il “girare in tondo” di un protagonista prigioniero di una
perenne coazione a ripetere gesti che annullano progressivamente la
sua volontà e lo status di intellettuale, spingendolo ad abbracciare
la forza selvaggia dell'Australia più nascosta e vicina alle
asprezze visive dell'Outback (proprio Outback è il titolo
usato in America e Inghilterra). Kotcheff lascia abilmente che la
discesa agli inferi di Grant sia a un tempo eterodiretta dagli eventi
e dai personaggi con cui lo stesso viene a contatto, ma anche
provocata da una sua risoluta voglia di non allinearsi razionalmente
ai comportamenti di una realtà da lui percepita come rozza e altra,
in un palleggio fra perenne ingenuità e snobismo. Il confronto con
l'altrettanto colto Tydon - che diversamente da lui accetta la
propria condizione di alcolista e dissoluto, perseguendola
scientemente - permette al suo dramma di emergere con maggior forza.
La struttura visiva segue
questa continua dinamica di allontanamento e vicinanza, e rende i
personaggi quasi una propaggine visiva dell'ambiente circostante,
attraverso un'omogeneità cromatica che predilige tinte calde, dove
prevalgono i motivi del giallo, dell'arancio e del verde più scuro.
La regia, dal canto suo, elabora continuamente soluzioni visive che
riverberano il clima decadente eppure grandioso di certo tardo
western italiano e americano (da Leone a Monte Hellmann) e, allo
stesso tempo, le pulsioni della New Hollywood ancora in fieri negli
stessi anni, con un'immersione piena fra i corpi e i volti della
gente, in grado di spezzare (e pure esaltare) la ieraticità brulla
del paesaggio. La narrazione si riduce perciò al minimo, non tenta
di dare oltremodo spessore ai personaggi e ai loro trascorsi e
preferisce offrire spazio alle azioni e agli stati d'animo più
estremi che l'avventura lascia affiorare in superficie.
Quello cui perciò si
assiste è un linguaggio fatto di corpi che si cercano e si
confrontano, attraverso la condivisione di precisi rituali (le
scommesse, le infinite bevute di birra), un ostentato cameratismo (e
altruismo), fino al contatto fisico più ruvido, evidente nelle
scazzottate che, come un'autentica deflagrazione di follia, portano a
sfasciare l'ambiente circostante in un tripudio di risa isteriche. La
natura sostanzialmente altra di Grant è sottolineata dal
confronto fra la sua fisicità efebica e la ruvida carnalità della
gente locale, sempre pronta a elargire strette di mano energiche e
contatti dal sapore via via sempre più marcatamente sessuale (con
riferimento tanto alla giovane ninfomane Janette, quanto
all'implicito momento omoerotico fra Grant e Tydon dopo l'ennesima
notte di bagordi).
Il tutto trova la sua
sublimazione nella terribile sequenza della battuta di caccia ai
canguri (effettuata in realtà da professionisti), che davvero segna
il momento di immersione più oscura nella follia umana, ma anche nel
particolare abbraccio fra questi personaggi e la terra che li
circonda, ancora una volta tra condivisione e distruzione. L'assurdo
confronto uno-a-uno fra l'uomo e il canguro diventa così l'autentico
simbolo visivo del film.
Sebbene la produzione
spingesse per un taglio più exploitation, Kotcheff coglie il
potenziale autoriale della storia e tara la narrazione sulla tonalità
isterica e grottesca garantita dalla continua ilarità dei
protagonisti: ottiene in tal modo un racconto ribollente di energia,
e allo stesso tempo terribile e incredibilmente grottesco. Una scelta
che garantisce i necessari sprazzi di visionarietà, garantiti da un
montaggio quasi subliminale negli inserti di follia che attraversano
Grant durante e dopo i momenti di black-out, con il repentino
miraggio di felicità garantito dalle visioni della fidanzata
lontana.
Considerato oggi un
classico per la sua potenza espressiva, Wake in Fright è
stato per anni un autentico film fantasma: la presentazione al
Festival di Cannes non lo ha infatti salvato dall'iniziale ostracismo
di un pubblico locale che non si riconosceva nel ritratto
iperrealista portato avanti dal racconto – e che, suo malgrado, ha
effettivamente finito per determinare una certa estetica un po'
stereotipata dell'australiano rozzo e scolabirra. Complice il lavoro
del montatore Anthony Buckley, che ha rintracciato i materiali
originali dopo vari decenni, il film è stato però recuperato e
restaurato dopo un lungo oblio, riguadagnando il posto che gli
spetta. In Italia resta purtroppo inedito.
Questo resoconto è
condotto a partire dall'ottima edizione Blu-Ray inglese della Eureka
Entertainment.
Wake in Fright
Regia: Ted Kotcheff
Sceneggiatura: Evan
Jones, dal romanzo di Kenneth Cook
Origine: Australia,
1971
Durata: 119'
1 commento:
Titolo leggendario, spero di recuperarlo in futuro (un dvd italiano sarebbe doveroso)
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