Principessa Mononoke
Giappone, epoca
Muromachi (1336-1573). Ashitaka, giovane principe degli Emish,
sconfigge un demone che ha attaccato il suo villaggio e che si rivela
essere un dio cinghiale mutato da un'orribile maledizione. Marchiato
dal male che affliggeva la creatura, Ashitaka sembra condannato a
morire, ma decide di recarsi a ovest per capire cosa abbia mutato il
cinghiale e vedere se è possibile trovare una cura. Giunge così
alla fucina di Lady Eboshi, principale responsabile della
devastazione dei boschi circostanti e causa del rancore della natura.
La lotta difensiva degli animali, in particolare, è portata avanti
da San, la “principessa spettro” temuta dagli abitanti della
fucina, una donna che ha rinnegato la propria umanità e vive insieme
ai lupi. Ashitaka cerca di entrare in contatto con lei, capirne le
ragioni e cercare una impossibile conciliazione fra natura e uomini.
C'è una circolarità che
rende Principessa Mononoke l'ideale completamento del percorso
iniziato da Hayao Miyazaki oltre un decennio prima con l'ancora
invisibile Nausicaa della valle del vento (la versione animata
del 1984, ma anche quella cartacea molto più lunga e articolata,
iniziata nel 1982 e conclusa nel 1994): quasi come se l'avventura di
Ashitaka e San voglia porsi come evoluzione di quella storia così
lungamente elaborata. Lo fa sia recuperando contesti e temi (il bosco
di Mononoke, contrapposto agli scenari desolati delle lande
devastate dall'uomo sono molto simili alla realtà post-atomica di
Nausicaa), che alcuni isolati passaggi (la lotta iniziale
contro il demone-cinghiale riprende alcune inquadrature dell'incipit
di Nausicaa con l'insetto gigante).
Non che ci sia da
stupirsi, considerando come il tema fulcro del conflitto uomo-natura
sia presente anche in altre opere dell'autore, ma è evidente come in
questo caso Miyazaki lavori su una traccia che sente come
particolarmente pressante e che giustifica perciò l'urgenza
espressiva di un racconto tanto capace di essere lucido nella sua
trattazione “politica”, quanto trascinante e commovente nel
lirismo poetico delle immagini. Ecco dunque la narrazione di
un'umanità affamata di un progresso tecnologico che fagocita
letteralmente la forza vitalistica e ancestrale della natura: un
conflitto che non rappresenta soltanto la distruzione di un
ecosistema, ma anche il doloroso solco che gli umani intendono
tracciare per tagliare i ponti con le tradizioni incarnate dalle
divinita shintoiste che incarnano lo spirito dei boschi. La posta in
gioco diventa così altissima: tracciare un ideale punto d'origine,
di letterale rinascita e riformulazione degli equilibri, affinché
l'umanità possa elevarsi al livello divino, in un gioco di
sopraffazione reciproca che trasfigura l'inevitabile percorso di
evoluzione della specie, portando a continue escalation di violenza.
La guerra diventa così
un passaggio inevitabile di una più profonda pulsione umana
connaturata allo sviluppo, e il racconto si adegua con una tensione
che sembra abbandonare ogni speranza circa la possibile risoluzione
del conflitto: perciò il tono si fa più duro, con violenza grafica
esibita e, soprattutto, una tendenza continua a restare sul
terreno. Da questo versante, Principessa Mononoke è il
film di Miyazaki che meno concede alla leggerezza, la classica figura
retorica del volo è praticamente bandita, i corpi percepiscono la
pesantezza delle armi (nonostante i tentativi di rendere gli
archibugi più maneggevoli) e l'immagine restituisce sensazioni
concrete, tattili, vicine alla concretezza della terra e alla
visceralità del sangue, dando forma a un'opera ctonia, fino al
cataclima finale che sembra davvero concretizzare il termine di ogni
cosa. Il lieto fine, anche quando arriva, è comunque sempre mitigato
dalla consapevolezza di ciò che è avvenuto e che forse non si potrà
mai ricostituire.
Eppure, anche in un
quadro così pericolosamente minato, Miyazaki crede nella possibilità
di far trionfare la vita fino a quando le forze lo permettono: è per
questo che, in un quadro di allucinante disperazione, il film pulsa
di una meraviglia estatica riassumibile nelle sequenze mozzafiato con
il Dio Bestia e tutte le creature che rendono la foresta uno spazio
palpabile nella sua vitalità. E' interessante notare, in tal senso,
come il film lavori sottotraccia per sabotare continuamente il
manicheismo che pure lo scontro uomo-natura imporrebbe: cerca di far
emergere le ragioni delle parti, una sostanziale dignità che
accompagna ciascuno dei due fronti. Il punto di fuga è perciò
garantito proprio dalle figure meno allineabili. Da un lato Ashitaka,
segnato dalla maledizione eppure pervicacemente ancorato alla vita,
che non si allinea con i due fronti ma cerca una impossibile
ricomposizione: la sua è la missione di chi ha già raggiunto
l'obiettivo, come si può notare attraverso il legame di profonda
empatia con il suo stambecco Yakkul, che concretizza davvero l'unione
uomo-natura tanto agognata.
Dall'altro lato San, la
coraggiosa “principessa spettro” (come da precisa traduzione del
titolo originale Mononoke Hime), che seppur schierata senza
indugio con il bosco è comunque anomalo elemento umano in un
contesto naturale e dunque pure lei disposta a recidere i legami con
la propria tradizione pur di trovare il proprio posto. Il che fa del
film non soltanto un racconto di conflitti, ma anche una grande
epica, intesa come racconto di gesta che creano un tessuto di
relazioni complesse, capaci perciò di trovare la loro realizzazione
nella messinscena di un mondo: articolato, vasto, abile ad
abbracciare tanto la concretezza della documentazione storica, quanto
la libertà della sfera più impalpabile e mitica dell'immaginazione,
fornita dalle visioni della natura.
Un doppio mondo completo,
dove i personaggi sono essi stessi doppi, creature viventi di carne,
eppure veicolo di forze soprannaturali, uomini e allo stesso tempo
spettri: un mondo che è anche quello di tutti noi, insomma, con le
sue regole crudeli ma giuste. Miyazaki pare lo avesse pensato come il
suo ultimo film e, in effetti, la grandiosità dell'affresco e la
completezza della trattazione lo rendono effettivamente una delle
poche opere definitive di fine secolo.
Già passato nelle sale
italiane nel lontano 2000, su distribuzione Disney e con il titolo inglese, Principessa
Mononoke è ora rilanciato da Lucky Red e accompagnato da un
nuovo e più fedele doppiaggio che riesce a restituire le mille
sfaccettature di una trama complessa e molto attenta a lavorare sulle
sfumature del mondo creato dall'autore.
Principessa Mononoke
(Mononoke Hime)
Regia e sceneggiatura:
Hayao Miyazaki
Origine: Giappone,
1998
Durata: 134'
Filmografia Hayao Miyazaki:
1986 – Il castello nel cielo
1988 – Il mio vicino Totoro
1989 – Kiki - Consegne a domicilio
1992 – Porco Rosso
2008 – Ponyo sulla scogliera
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