Il castello nel cielo
Fuggita da un'aeronave dopo l'attacco di alcuni pirati, la giovane Sheeta viene soccorsa da Pazu, un ragazzo che lavora in miniera e che sogna di ristabilire il nome di suo padre, morto in disgrazia dopo aver avvistato la leggendaria isola volante di Laputa, a cui nessuno crede. Sheeta, peraltro, porta con sé un'aeropietra, un monile le cui origini risalgono proprio a Laputa e che la rende appetibile tanto ai pirati (che non smettono di inseguirla) quanto al Colonnello Muska, un sinistro funzionario governativo che intende raggiungere l'isola volante per carpirne i segreti. Durante la fuga, Pazu apprende che Sheeta stessa discende dalla stirpe reale di Laputa e si allea con i pirati per raggiungere l'isola del cielo.
Fuggita da un'aeronave dopo l'attacco di alcuni pirati, la giovane Sheeta viene soccorsa da Pazu, un ragazzo che lavora in miniera e che sogna di ristabilire il nome di suo padre, morto in disgrazia dopo aver avvistato la leggendaria isola volante di Laputa, a cui nessuno crede. Sheeta, peraltro, porta con sé un'aeropietra, un monile le cui origini risalgono proprio a Laputa e che la rende appetibile tanto ai pirati (che non smettono di inseguirla) quanto al Colonnello Muska, un sinistro funzionario governativo che intende raggiungere l'isola volante per carpirne i segreti. Durante la fuga, Pazu apprende che Sheeta stessa discende dalla stirpe reale di Laputa e si allea con i pirati per raggiungere l'isola del cielo.
E' il primo
lungometraggio ufficialmente realizzato sotto il marchio dello Studio
Ghibili, fondato da Hayao Miyazaki e soci dopo il sorprendente
successo del precedente Nausicaa della valle del vento:
il film vanta peraltro una distribuzione abbastanza sfortunata nel
nostro paese, dove era uscito direttamente in DVD per la Buena Vista
nel 2004, salvo essere poi ritirato dal mercato dopo poche settimane,
lasciando in tal modo mano libera agli speculatori disposti a vendere
a peso d'oro l'agognato dischetto. Per fortuna ci ha poi pensato la
Lucky Red a fare giustizia, con un'uscita nelle sale nella prima metà
del 2012 (cui è seguita quella nei formati dell'Home Cinema).
Il
continuo rimpallo delle date ci consegna perciò un'opera
letteralmente fuori dal tempo, ambientata non a caso in un passato
dove le automobili sono rarità, e la civiltà di Laputa si è
estinta, lasciando però in eredità avanzatissime conoscenze
tecnologiche che fanno gola al cattivo di turno: un futuro
“anteriore” dove il regista ha modo di articolare le sue tipiche
ossessioni da post-apocalisse potenziale, tanto che il tono appare in
continuità con l'odissea fantasy di Nausicaa
e più schiettamente avventuroso di quanto non avverrà con le opere
della maturità. In effetti, a ben guardare, Il castello
nel cielo è oggi definibile
come una pellicola che chiude un ciclo, con cui Hayao Miyazaki paga cioè il meritato
tributo alla prima fase della sua carriera, quella che si era
articolata in misura maggiore negli ambiti della serialità
televisiva: se, infatti, stilisticamente il ritmo è più franto,
diviso da dissolvenze a nero che sembrano quasi scandire una serie di
capitoli, narrativamente la vicenda di Pazu e Sheeta riflette il
dinamismo dell'azione di Lupin III - con ovvio riferimento al film Il
castello di Cagliostro, che
aveva segnato l'esordio cinematografico dell'autore.
Il
rapporto fra i due bambini e la loro opposizione a un nemico
bellicista e animato da sete di potere, sullo sfondo garantito da una
doppia realtà ugualmente proiettata fra la natura che ha invaso
Laputa e l'orrore che le macchine dell'isola sono in grado di
scatenare, fa però pensare soprattutto a Conan il ragazzo
del futuro, la serie che aveva
letteralmente rivelato il talento di Miyazaki nel 1978: una
sovrapponibilità che è tale non solo dal versante narrativo, ma
anche da quello più squisitamente iconografico, con uno scenario
naturale attraversato da bizzarre creazioni meccaniche, mentre i
pirati di turno appaiono come dei simpatici pasticcioni che alla
bisogna possono anche convertirsi al bene: né più né meno come
accadeva con il celebre Capitano Dyce – e non ci sembra un caso che
Dola, la volitiva matrona dei pirati, si impunti perché Pazu la
chiami, appunto, “Capitano”!
Ne
viene fuori un'opera fra le più “porose” di Miyazaki, regista
che, pur essendo sensibile alle storie altrui (pensiamo a come molti
suoi lavori siano di derivazione letteraria), è quasi sempre solito
descrivere spazi e mondi che diventano inevitabilmente suoi,
e che qui si fanno invece cartina di tornasole di un immaginario
composito e perfettamente addentro agli umori della propria epoca: si
respira in tal modo un senso di libertà inedito anche per la
filmografia stessa dell'autore, dove la facilità con cui i corpi si
muovono nel cielo, su precipizi, piante e interstizi del reale (senza
mai provare alcuna vertigine) si riflette in una struttura che mette
insieme agevolmente formato seriale, derivazioni letterarie (Laputa
proviene da I viaggi di Gulliver
di Jonathan Swift), e anche gli umori della fantascienza coeva.
Sebbene
il testo seminale del post-apocalittico nipponico degli Ottanta
arriverà solo due anni dopo (il riferimento, naturalmente, è ad
Akira),
il film respira infatti di atmosfere vagamente cyberpunk,
in cui lo stile sembra cercare una sintesi fra la tipica tensione
naturalista cara all'autore e le possibilità distruttive insite nella tecnologia. La
dicotomia natura/progresso si stempera in un caleidoscopio visivo
tipicamente ottantesco nelle scelte cromatiche (dove fanno capolino
tonalità elettriche e scenari di matrice a tratti espressionista e
futurista) che, pur non derogando mai dalla classica dicotomia
buono-cattivo, sembra in più passaggi solleticare l'idea di una
coesistenza possibile fra gli opposti.
Laputa
in tal modo si configura come una possibile terra delle opportunità:
il luogo cioè dove non solo i fronti possono ricompattarsi (i pirati
e i bambini che si alleano), ma dove è anche possibile coniugare
tecnologia e natura, al punto che la seconda è affidata a
giganteschi robot pure dotati di incredibile capacità distruttiva (e
che ricordano i giganti di Nausicaa,
giusto per rimanere nel cerchio dei riferimenti). Un mondo che non a
caso sta fra la concretezza della pietra in cui è intagliato il suo
spazio e la dimensione favolistica garantitale dalle leggende e dal
passaggio fra le nubi, a sua volta memore delle atmosfere del Mago
di Oz. Fantasy e fantascienza
trovano sul suo terreno un recinto fertile, dove articolare le
rispettive pulsioni, e non ci sembra un caso se la parte finale
diventa un coacervo di visioni che stanno fra le anticipazioni di
Otomo e James Cameron (pensiamo agli Avatar
e ai Titanic a venire)
e vaghe reminiscenze da Guerre stellari
(il raggio distruttore che riecheggia quello della Morte Nera).
In
tal modo, più che un'opera di sintesi, Il castello nel
cielo, finisce per diventare
un'evoluzione del pensiero che guidava il primo Miyazaki e un
completamento di anni di lavoro: il fatto che tutto questo si
articoli attraverso le forme della “semplice” avventura ce lo
rende ancora più amabile e prezioso, oltre che sempre
straordinariamente attuale.
Il
castello nel cielo
(Tenku
no Shiro Rapyuta)
Regia
e sceneggiatura: Hayao Miyazaki
Origine:
Giappone, 1986
Durata:
124'
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