"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

mercoledì 11 settembre 2013

Moebius

Moebius

Padre, madre e figlio. Il primo tradisce la seconda con un'amante: lei prova a evirarlo, ma, non riuscendoci, sfoga la sua rabbia sul figlio, per poi fuggire. Il padre, disperato, si fa asportare chirurgicamente il pene per donarlo al figlio, ma i trapianti dei genitali sono ancora in una fase rischiosa e embrionale. Una soluzione arriva attraverso la scoperta che è possibile raggiungere l'orgasmo attraverso il dolore inflitto alla carne. Nel frattempo, rimasto privo della sua virilità, il ragazzo è fatto oggetto di scherno da una banda di bulli, suscita l'attrazione dell'amante del padre e finisce in galera perché coinvolto nello stupro della donna da parte di alcuni teppisti. Infine viene liberato e condivide con il padre la scoperta del piacere procurato dal dolore. Tutto sembra tornare alla normalità quando il padre trova il medico giusto per l'agognato trapianto, ma una volta dotato del nuovo organo, il ragazzo non riesce ad avere un'erezione. A sorpresa la madre torna a casa e un suo tocco sembra ridestare la virilità perduta del giovane...


Cos'è la famiglia?
Cos'è il desiderio?
Cosa sono i genitali?
Famiglia, desiderio e genitali sono un tutt'uno fin dal principio.
Io sono il padre, la madre è me, e la madre è il padre.
All'origine nasciamo nel desiderio e ci riproduciamo nel desiderio.
Così siamo collegati in un'unica entità, come il nastro di Moebius,
e pertanato io invidio, odio e amo me stesso.
(Kim Ki-Duk, dal pressbook del film)

Contestato in patria da una censura che ha costretto al taglio di qualche scena, il nuovo film di Kim Ki-Duk sembra proprio esorcizzare a priori il senso della perdita umana, fisica e artistica che ha successivamente pervaso il suo autore, in rapporto a questa nuova pellicola: il vincolo di causa e effetto, di desiderio e proibizione che il film manifesta trova così un suo riscontro nel mondo “di fuori”, ampliando il sistema dei collegamenti posto in essere dalla storia. Gli opposti sono collegati: i genitori che danno la vita sono anche quelli che provocano la disfatta del loro figlio, proiettando su di lui le proprie frustrazioni (e, di conseguenza, la loro potestà diventa anche una subalternità); l'atto violento dell'evirazione è provocato dalla stessa madre che poi ridarà al ragazzo la virilità perduta; la violazione della carne provoca un dolore che, somministrato in dose continuativa, permette il raggiungimento dell'orgasmo e quindi l'acme del piacere; e l'amante che provoca il disfacimento del nucleo familiare è una figura contigua a un sistema di relazioni che legano i personaggi tra loro e con il mondo esterno – l'attrice Lee Eun-woo, peraltro, interpreta entrambi i ruoli, la moglie e l'amante, giusto per rimarcare ancora di più il sistema delle sovrapposizioni e delle identità.

Agisce dunque sui sistemi fondativi della società contemporanea (la famiglia in particolare) questo Moebius, e si affranca pure dalla facile trattazione freudiana della sessualità attraverso un approccio stratificato al tema, che investe tanto lo stile, quanto i significati: così, i tormenti del giovane protagonista sulla propria virilità, da un lato possono riflettere quel sapore per la violazione della carne che già altre volte avevamo trovato in Kim Ki-Duk: il riferimento primario è a L'isola, con gli amanti che si prendono all'amo, provocandosi lacerazioni interne e facendo così coincidere la sfera dell'amore e del piacere con quella della sofferenza e del dolore. Sono dinamiche che tarano certamente il racconto su una direttrice che è drammatica, e suscita, per empatia, il dolore nello spettatore (soprattutto quello maschile).

Ma, preso alla giusta distanza, il film si palesa anche per essere estremamente ironico e sopra le righe (pensiamo alla scena del pene maciullato dalle ruote di un camion), tanto da esibirsi attraverso toni da fumetto. Lo stile è da guerrilla filmmaking, con perenne camera a mano, ritmo sostenutissimo e protagonisti che si agitano, urlano, si picchiano, si martoriano le carni, cercando di affrancarsi da una miseria cui si sono giocoforza condannati. Kim è bravissimo nel rendere l'idea di un film estremamente caotico pur nell'assoluta assenza di dialoghi: si crea in questo modo una sorta di intervallo fra ciò che realmente accade e ciò che lo spettatore percepisce, tanto che la fisicità estrema della vicenda (esaltata da una fotografia dai toni naturalistici negli esterni) non riesce a cancellare l'impressione di una storia i cui segni tendono all'astrattismo (e negli interni spesso la fotografia “spara” i rossi, gli arancio o i blu, creando una qualità onirica e espressionista).

Lo sguardo è insomma satirico, mira esplicitamente a sabotare un ordine costituito e si lega a doppio filo a quella tensione metafisica che attraversa pure tanta produzione del cinema di Kim Ki-Duk (e che ha al momento i suoi più evidenti riferimenti in Primavera, estate, autunno inverno... e ancora primavera e Ferro 3). Non a caso l'evirazione avviene con un pugnale nascosto sotto un Buddha e il figlio prega nottetempo un'immagine sacra, tanto da far sorgere l'idea che la sessualità tanto ironicamente sbeffeggiata dall'autore altro non sia che l'espressione di una distanza che esiste fra la tensione umana a cedere alle lusinghe del materialismo e l'approdo finale a una dimensione più spirituale. Si presti infatti attenzione a come, nonostante tutte le angherie subite, il personaggio del figlio mantenga sempre un'espressione imperturbabile, quasi neutra, destinata a sciogliersi soltanto nel sorriso finale che segna il suo passaggio da una dimensione di subalternità (alla madre, al padre, ai bulli, alla sessualità) a quella di un'acquisita serenità e maturità, quella della sfera spirituale.

Non è da tutti insomma giocare con tanta iconoclastia, provocare in maniera tanto esplicita, chiamare in causa temi tabù come l'incesto, per poi veicolare sottotraccia riflessioni così alte, all'interno di una ricerca stilistica che ci consegna un autore sempre pronto a rimettersi in gioco: Kim Ki-Duk si conferma ancora una volta uno dei maggiori registi sulla scena, uno che sa amare e plasmare il cinema con grande piacere, ma sempre per esprimere pulsioni profondamente personali, tanto che ogni opera è ancora una sorpresa e una gioia, per gli occhi e per la mente.

La distribuzione italiana è curata da Movies Inspired. La stesura di questa recensione si basa sulla versione integrale vista in esclusiva alla Mostra di Venezia: stando a quanto comunica il distributore, questa versione è stata ritirata dopo le proiezioni veneziane e per l'uscita nelle sale (e in home video) si fa e si farà riferimento soltanto al montaggio internazionale derubricato, più corto di 2 minuti.


Moebius
(id.)
Regia e sceneggiatura: Kim Ki-Duk
Origine: Corea del Sud, 2013
Durata: 91'

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