"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

lunedì 19 novembre 2012

Argo

Argo

1979. Lo scoppio della rivoluzione islamica travolge la monarchia Persiana trasformandola nel moderno Iran. Lo Shah Reza Pahlavi trova asilo politico negli Stati Uniti e gli studenti universitari islamici, per protesta, assaltano l'ambasciata americana di Teheran. Nel trambusto generale, sei dipendenti dell'ambasciata riescono a fuggire e riparano nella residenza dell'ambasciatore canadese: dagli Stati Uniti, la loro situazione precaria viene seguita con attenzione, mentre i piani alti della nazione cercano di gestire la crisi più grande che vede tutti gli altri dipendenti dell'ambasciata prigionieri. Gli studenti islamici, infatti, pretendono la consegna dello Shah in cambio della loro liberazione. Così il Ministero degli Esteri americano, di concerto con la CIA, studia un piano per aiutare i sei a uscire dal paese: le proposte presentate sono insufficienti e si decide quindi di seguire il piano varato da Tony Mendez, agente speciale specializzato in casi del genere. L'idea è fingere che i sei siano parte di una troupe cinematografica canadese presente sul posto per effettuare alcuni sopralluoghi allo scopo di girare un film di fantascienza. Mendez li raggiungerà con i documenti falsi e poi ripartirà con loro.


Giunto alla sua terza regia, Ben Affleck si conferma un autore di razza, capace di unire il gusto classico della narrazione a un percorso autoriale coerente, pur quando si trova a dover gestire i difficili equilibri di un racconto storico. Argo, infatti, non è soltanto il resoconto di un'incredibile vicenda del recente passato, ma, al pari del precedente The Town, è ancora una volta la cronaca del senso di appartenenza a una comunità che coinvolge tutti i personaggi. Il sentirsi parte di un gruppo è infatti l'elemento caratterizzante delle relazioni che determinano il senso stesso del racconto e che generano soprattutto un dramma: se, infatti, l'elemento più forte è quello stabilito dalla tesa vicenda dei sei americani costretti a nascondersi dalle autorità iraniane, il dramma non è meno vero per il protagonista Tony Mendez (interpretato dallo stesso Affleck), che fra una pausa e l'altra del suo lavoro cerca un momento per potersi dedicare alla famiglia lontana e al figlio che ha sempre trascurato; o ancora per la cameriera dell'ambasciatore canadese, che deve scegliere fra l'affetto per i suoi principali e l'obbedienza alle leggi del suo Paese.

Ciò che però colpisce è come ancora una volta l'Affleck regista lavori nel capovolgere gli equilibri stabiliti dall'ordine precostituito: tanto i legami personali diventano infatti l'unico elemento determinante perché ogni personaggio possa essere legittimato nel proprio ruolo, tanto il sistema in cui gli stessi agiscono è scosso alle fondamenta dall'esibizione della propria fragilità. Se quindi la monarchia persiana è nei fatti rivoluzionata dall'instaurarsi del regime islamico, la consolidata America – che ci viene mostrata in tutto il suo organigramma politico, dal Presidente Jimmy Carter passando per ministri, funzionari d'altro grado, speaker televisivi e agenti della CIA – è ritratta con sguardo critico, in quanto implicita fautrice del caos mediorientale: sono stati infatti i suoi appoggi al regno dello Shah (enunciati in modo esplicito dalla voce narrante in apertura) a produrre loro malgrado il dramma degli ostaggi.

Quella che si palesa agli occhi dello spettatore è pertanto una vicenda umana, iscritta in un gioco delle parti dove le autorità risultano colpevoli di quanto sta accadendo, e dove i “buoni” della situazione non possono perciò che essere dei fuorilegge (come i sei dipendenti dell'ambasciata) o dei personaggi che tecnicamente “non esistono” (la spia Tony Mendez). Il circolo vizioso nel quale la storia va lentamente inserendosi può dunque essere spezzato soltanto dalla finzione, quella portata avanti dai meccanismi hollywoodiani: da qui l'idea del finto film da mettere in piedi per permettere agli americani di fuggire.

Affleck gestisce molto bene questo elemento giocando con i segni della cultura pop: chiama in causa i fumetti (negli storyboard che i titoli di coda esplicitamente definiscono “alla Jack Kirby”), celebri saghe cult come Il pianeta delle scimmie e Guerre stellari, usa presenze iconiche (Victor Garber rimanda alla serie spionistica Alias) e lancia divertenti frecciate al mondo hollywoodiano, rappresentato degnamente dalla scritta devastata sulle colline di Los Angeles, che però nella bizzarria di personaggi come Lester Siegel (un sempre grandissimo Alan Arkin) è l'unico a fornire certezze.

Coerentemente con quanto visto in The Town, il gruppo si solidifica attorno all'idea del mascheramento. Non a caso uno dei motori della vicenda è il truccatore premio Oscar John Chambers (impersonato dal grande John Goodman), qui nella parte del Virgilio che guida Mendez tra i “gironi infernali” della Mecca del Cinema. I sei fuggiaschi dell'ambasciata americana devono poi modificare il loro look e imparare letteralmente un copione da recitare alla bisogna alle autorità iraniane. Nel mettere in scena il suo inganno, Affleck non cade in ogni caso nel manicheismo e perciò permette al piano di riuscire grazie all'intervento dell'unico membro del gruppo scettico circa la possibilità di successo della missione, che “smaschera” la sua conoscenza della lingua Farsi al posto di blocco per perpetrare la messinscena cinematografica.

Il meccanismo è a scatole cinesi, al punto che il concetto di mascheramento può essere ricondotto anche al lavoro svolto sul casting e esplicitato dai titoli di coda, che mostrano gli attori e i loro “doppi” presi dalle foto d'epoca, rimarcando l'eccellente lavoro di mimesi e trucco. Il tutto trova poi un perfetto corrispettivo nella cornice stessa del film, che si apre su immagini disegnate e esibisce il logo Warner Bros degli anni Settanta, in una vertigine di cortocircuiti sensoriali dove soltanto l'esibizione sfacciata della finzione può permettere a una storia di affetti concreti di stagliarsi in tutta la sua “realtà”. Per questo, alla fine Mendez trova il suo posto nel luogo che gli appartiene (la famiglia), al Canada va un merito (quasi del tutto “esteriore”) per il successo della missione, mentre le didascalie di quanto realmente accaduto si ritagliano un posto fra giocattoli e modellini delle più celebri storie di fantascienza.


Argo
(id.)
Regia: Ben Affleck
Sceneggiatura: Chris Terrio (ispirato a The Master of Disguise di Antonio J. Mendez e The Great Escape di Joshuah Bearman)
Origine: Usa, 2012
Durata: 120'

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