"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

giovedì 19 aprile 2012

Lecce 2012: Day 2

Lecce 2012: Day 2

Dal tempo passiamo agli spazi: banalmente, verrebbe da precisare, quelli che si attraversano per raggiungere il cinema e le sale di proiezione. In realtà è una cosa meno scontata di quanto non sembri, perché il multisala Massimo che dal 2011 accoglie il festival è una specie di raffigurazione alla Escher, piena di scale, cubicoli, passaggi labirintici che trasmettono l'idea di una sorta di rompicapo, dove il film te lo devi letteralmente “guadagnare” attraverso la ricerca della sala. Se a questo aggiungiamo la scellerata idea di sottoporre la sbigliettatura all'incivile rituale del posto numerato (con il rischio dunque di vedersi scalzare da chi ha il biglietto con il numero del tuo sedile), il gioco si moltiplica. Ma gli spazi sono prima di tutto quelli che connotano le storie sullo schermo. Ad esempio quelli delle varie location che, sui titoli di testa, aprono il preannunciato evento Un burattino di nome Pinocchio, di Giuliano Cenci, realizzato nel 1971 e ora splendidamente restaurato: una versione italica e molto fedele al testo di Collodi, con animazione in rotoscope e disegni antidisneyani, ma comunque capaci di restituire un'aura fiabesca e un fascino d'antan grazie alla voce narrante di Renato Rascel. Chissà che Lou Scheimer non lo abbia visto, perché l'impianto visivo è molto simile a quello che qualche anno dopo ha reso celebre la sua Filmation.
Uno spazio decisamente chiuso è quello che invece raccoglie i protagonisti di Kuma, bella pellicola austriaca in concorso, diretta da un regista curdo e incentrata su una famiglia turca. La giovane Ayse lascia il suo villaggio e si integra in una famiglia governata da una madre-padrona che vede in lei la persona cui affidare il destino dei figli (la donna è infatti malata di cancro). Ma la vita arriva a chiedere il conto, sotto forma di un amore improvviso e clandestino che spariglia le carte. Un dramma familiare raccontato con partecipazione e capace di elaborare i percorsi umani di un gruppo che è un piccolo mondo con le sue rivalità, le gelosie, i segreti, i drammi nascosti e un difficile confronto con il mondo "di fuori" e le apparenze ad esso collegate. Folgorante la splendida protagonista Begum Akkaya, capace di esprimere a meraviglia il passaggio da persona fragile, sperduta e in cerca di collocazione, a giovane donna che scopre i richiami dell'amore e la propria sensualità.
Mutevoli sono invece gli spazi de La perdizione, di Ken Russell, che nel 1974 racchiude i luoghi della vita del compositore Gustav Mahler fra le anguste pareti di uno scompartimento di un treno. Opera ancora una volta eccessiva e rutilante, seppur già in odore di maniera, ma comunque capace di slanci lirici e di una forza panica che fa pensare al Malick di Tree of Life con qualche decennio d'anticipo: una dimostrazione di come si possa fare un biopic pur mantenendo una cifra immaginifica e non priva di punte ironiche. Infine lo spazio magmatico per eccellenza, quello di Napoli, il più grande regalo che l'uomo abbia fatto al mondo per come riesce a includere molteplici universi in un'unica città. E' la Napoli di Enzo Gragnaniello, protagonista del ritratto Radici, realizzato da Carlo Luglio, e del bellissimo concerto collegato. Un'espressione di un'arte e di una musica che si ritrova nel viaggio lungo i luoghi più caratteristici, spesso alieni e magici, dell'area partenopea.

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