"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

mercoledì 18 aprile 2012

Lecce 2012: Day 1

Lecce 2012: Day 1

Partiamo dal tempo: quello fra una proiezione e l'altra, quando spesso si decide “in corsa” cosa vedere, anche perché si ha la fortuna di non dover sottostare all'estenuante rito della sbigliettatura (perché una cosa che non cambia mai è il tempo d'attesa infinito alle casse). Ma anche il tempo che di solito si cerca di ritagliare qua e là per poter buttare giù due righe come in questo caso. Per fortuna a Lecce di tempo ce n'è abbastanza, non è uno di quei festival bulimici dove rincorri i film con il fiatone. Il tempo poi è quello atmosferico, pazzo, incontrollabile, quello per cui un giorno apri l'ombrello e quello dopo soffochi per il sole, ma la sera devi nuovamente indossare abiti pesanti, perché probabilmente nemmeno lui – il tempo – ha capito che l'inverno è passato. Vi state domandando come mai queste riflessioni? Perché la natura imprevedibile e “umorale” del tempo è quella che meglio restituisce le emozioni di questo primo giorno di festival, dove le visioni non sono state necessariamente incentrate sul tema, ma si sono in ogni caso dimostrate variegate e pazzerelle come le nuvole che si addensano e spariscono nel cielo di questo strano aprile.
Si parte alle 9 di mattina con il norvegese Oslo, August 31st, di Joachim Trier, che inaugura il concorso lungometraggi: storia di un ragazzo in libera uscita dalla comunità per tossicodipendenti per sostenere un colloquio di lavoro in città. L'occasione viene presto sprecata e così il nostro vaga per la capitale incontrando i compagni di un tempo, un percorso che si rivelerà distruttivo o, comunque, di autocoscienza rispetto a una vita che si percepisce ormai perduta. Il regista aveva vinto una delle precedenti edizioni del festival e riesce a mantenere uno sguardo allo stesso tempo sobrio e empatico nei confronti del personaggio, però manca il guizzo, quello che permetta alla storia di non suscitare la spiacevole sensazione che tutto andrà nel modo in cui ci si aspetta.
Sulla carta il film successivo - sempre in concorso – Daddy è l'esatto opposto, gioca a confondere lo spettatore immaginando due sorelle e il fidanzato di una di loro che si recano a fare visita al padre, isolato in una casa nelle montagne della Croazia. Quindi dramma familiare? No, film horror: e articolato su più livelli per giunta, perché non solo la presenza minacciosa di questo padre-mostro favorisce il racconto di tensione, ma poi ci si mette anche il triangolo amoroso fra le due sorelle e il ragazzo, che complica la gamma di relazioni alla base del racconto. Lo spunto è molto interessante, però il film sembra aver timore dell'etichetta di genere e quindi alla fine non riesce a sfruttare i twist della storia molto bene, depotenziando anche molte intuizioni della fotografia naturalistica. La folgorazione, insomma, non abita ancora qui.
Meglio dunque abbandonarsi ai classici del pomeriggio, con i primi titoli degli omaggi a Emir Kusturica e Ken Russell: del primo ritroviamo il malinconico e sensibile Ti ricordi di Dolly Bell?, del 1981. Ma la vera scoperta è I diavoli (1971), non perché sia un film sconosciuto (tutt'altro), ma perché di certo è inaspettata la bella copia italiana d'epoca in versione assolutamente integrale, che dunque permette a questo capolavoro magniloquente e iconoclasta di deflagrare in tutta la sua scandalosa potenza, regalando uno spettacolo lussureggiante e per nulla datato. Il buongiorno si vede dalla sera insomma, mentre fuori impazza il vento e il tempo in sala non è mai stato così ben speso.

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