"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

lunedì 6 febbraio 2012

Hugo Cabret

Hugo Cabret

Parigi, anni Trenta. Il giovanissimo Hugo Cabret vive da solo nel grande orologio della stazione centrale e per vivere ruba il necessario ai viaggiatori. Un anziano giocattolaio, però, lo coglie in flagrante e, per punirlo, gli sottrae il taccuino che apparteneva a suo padre. Sulle sue pagine sono tracciati gli appunti necessari a riparare un automa meccanico, unico lascito del genitore: Hugo vuole dunque riaverlo a ogni costo e così chiede aiuto a Isabelle, nipote del giocattolaio, che diventa sua amica. Insieme i due scopriranno che l'anziano artigiano altri non è che Georges Méliès, uno dei padri del cinema, che ha abbandonato le scene ed è persino creduto morto dagli studiosi.


Nell'andirivieni generale fatto di corse a rotta di collo tra viaggiatori carichi di valige e saliscendi sfrenati fra il mondo dei “grandi” e i meccanismi del grande orologio della stazione, l'incipit di Hugo Cabret sembra quasi collocare lo spettatore nello stesso universo avventuroso in cui si muove il Tin Tin spielberghiano. Il paragone non è peregrino se consideriamo che in fondo George Méliès non è soltanto uno dei Padri del cinema, ma anche un teorizzatore ante-litteram di quegli stessi principi che muovono oggi il cinema digitale: l'assenza di realismo, in favore di una poetica del fantastico totale, che dia consistenza ai sogni attraverso la creazione di spazi immaginari e governati da logiche proprie, dove le figure possano muoversi con una libertà assoluta.

Martin Scorsese si inserisce nell'intervallo che si viene a creare fra questa natura assolutamente irreale e i meccanismi che pure la determinano, mostrandoci il piacere artigianale del fare e della manualità sottesa agli ingranaggi che muovono i vari congegni, senza mai dimenticare quell'impalpabile magia che ci affascina ogni qual volta vediamo un dispositivo meccanico generare il movimento. Siamo dunque nel territorio del puro artificio illusionistico, quello che dall'origine del movimento che la pellicola compie per diffondere le immagini (attribuibile ai fratelli Lumière), porta all'emozione sincera e allo stupore totale (quello degli spettatori che si spaventano per il treno che si muove verso l'inquadratura) e che al suo estremo trova proprio la magia melièsiana.

Per mettere in scena il suo profondo e rispettoso omaggio a un simile artista, Scorsese ne rivitalizza dunque la grandezza teorica e per questo il suo Hugo Cabret si offre come un oggetto estremamente attuale eppure al contempo totalmente retrò. Colori, scenografie, una profondità di campo wellesiana e svariati trucchi scenici disegnano uno spazio che – esattamente come in Tin Tin – parte dal reale ma è di per sé totalmente immaginario e fiabesco, e nell'immaginare la Parigi degli anni Trenta, rappresenta la naturale evoluzione di un'idea artistica che ha finito per generare il proprio mondo, e ora deve rendere grazie al suo creatore. In quest'ottica si inserisce anche il miglior 3D mai visto sullo schermo, che il regista concepisce e attua con la precisa consapevolezza dell'autore ben conscio di come questo moderno artificio sia in realtà vecchio di decenni e dunque non faccia altro che costituire un ulteriore tassello di quella tendenza illusionistica che Méliès aveva capito prima di tutti.

In questo modo, Scorsese recupera e fa evolvere quella tendenza all'irrealtà del set che già connotava il precedente – e sottovalutato – Shutter Island, pellicola che poneva le basi di una esteriorizzazione di un mondo interiore che qui è quello mélièsiano. Le sequenze oniriche che vedevano la realtà incenerirsi creano un legame con i sogni di Hugo che concretizzano la distruzione del reale ad opera di sequenze cinematografiche, come accade quando l'arrivo del treno e il suo successivo deragliamento dai binari avverano il sogno/incubo dei primi spettatori dei Lumière.

Il tutto per lo scopo nobilissimo di omaggiare una tendenza che però non è soltanto il sogno isolato di un anziano giocattolaio con l'hobby dell'illusionismo, ma per “aggiustare” e far “andare al suo posto” una figura cui è necessario più che mai tributare rispetto oggi. Perché i suoi sogni sono quelli che hanno permesso agli eredi di far evolvere il mezzo e hanno dato senso alla vita degli artisti che si sono succeduti (fra cui lo stesso Scorsese) e degli spettatori che attraverso il confronto con l'immaginario hanno dato forma al proprio mondo reale. La narrazione pertanto si dipana attraverso un confronto fra la macrostoria di Méliès e una serie di eventi isolati in cui i protagonisti devono trovare il proprio posto nel mondo, spesso attraverso l'interposizione di elementi terzi: Hugo deve perdere la sua condizione di orfano e ricongiungersi al ricordo del padre mediante l'automa da riparare; l'ispettore Gustav deve far breccia nel cuore della sua bella fioraia, nonostante la sua gamba meccanica (autentico meccanismo “fuori posto”) lascito della guerra, monsieur Frick e madame Emile consumano una platonica relazione grazie all'amicizia fra i propri cani. Il mondo intero deve dunque ritrovare il piacere della condivisione delle esperienze e della relazione reciproca, nonostante le difficoltà imposte dai momenti storici e dalla vita quotidiana, e in questo il film offre la sua lettura del presente.

Il personaggio che riassume meglio il tutto diventa così non tanto Hugo, quanto la sua giovane amica Isabelle, il cui altruismo è motivato dal mero desiderio d'avventura e che in questo modo crea una saldatura tanto con Tin Tin, quanto con quell'agitazione dell'animo che muove all'azione tipica del pionerismo mélièsiano.


Hugo Cabret
(Hugo)
Regia: Martin Scorsese
Sceneggiatura: John Logan (da La straordinaria invenzione di Hugo Cabret di Brian Selznick)
Origine: Usa, 2011
Durata: 127

1 commento:

Anonimo ha detto...

Mi trovi, ovviamente, più che d'accordo. Veramente su tutto, ma soprattutto sulla straordinarietà di questo 3D, forse il migliore di sempre, come dici anche tu.

Ale55andra