"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

lunedì 16 maggio 2011

I misteri di Lisbona

I misteri di Lisbona

XIX secolo. Il giovane Pietro Da Silva cresce in un orfanotrofio, sotto l'attenta guida di Padre Dinis. E' proprio lui, un giorno, a raccontargli la verità su sua madre, ancora viva, ma prigioniera del marito. I due riescono a liberare la donna, ma altri personaggi si affacceranno ben presto sulla scena, rivelando inattesi legami con la vita di Pietro, e coinvolgendo anche il passato di Padre Dinis, quando ancora non vestiva la tonaca e la sua condotta era molto diversa. Lungo un arco di tempo di molti anni, fra il Portogallo, la Francia e il Brasile, le fitte trame del destino si compiono, rivelando i segreti dei vari personaggi.


Trasportate dal flusso incessante degli eventi e della potenza delle immagini, scivolano via senza fatica le circa quattro ore e mezzo di durata necessarie a questo nuovo capolavoro di Raul Ruiz per raccontare la sua sostanza. E' in realtà una versione “breve”, questa vista nei festival di San Sebastian e Lecce, rispetto al montaggio definitivo di sei ore destinato ai passaggi televisivi. La differenza non è cosa di poco conto, considerando il preciso ragionamento sul tempo che Misterios de Lisboa compie in ogni suo passaggio: tempo inteso non soltanto come quello attraverso cui si dipana la vita del giovane protagonista Pedro Da Silva, che dalla stasi dell'orfanotrofio passa alla vita attiva lungo vicende intricate e capaci di abbracciare gli scenari più distanti, come punto unificante di tutto. Il tempo è anche quello di un passato che diventa presente (la vicenda si ambienta nel XIX secolo ma non denuncia eccessivamente i suoi anacronismi) e, soprattutto, quello della narrazione, che indugia sulle parole, sulle azioni, sugli ambienti, creando una particolare forma visiva che è allo stesso tempo estrinsecazione dei malesseri interiori e astrazione delle forme in un linguaggio perciò vicino e al contempo lontano dai personaggi.

Si è parlato di approccio distaccato, chiamando in causa anche il Barry Lyndon kubrickiano, ma è un paragone che si esaurisce soprattutto nella meticolosità della ricostruzione, perché qui l'intento metanarrativo è più evidente. Ruiz infatti riflette sulla forma-racconto come messinscena di un insieme di elementi che definiscono la semplicità come elemento complesso. La facile storia di un orfano (matrice di tanti feulleiton) diventa così un affresco irresistibile sul destino che unisce e divide creando di fatto la drammaturgia. Non è un caso se gli inserti rimandano spesso a quel teatro di marionette che il protagonista custodisce gelosamente come lascito dell'amata madre e che è chiamato in causa in quanto paradigma di una storia che è, consapevolmente, messinscena continua di un dramma preordinato da un demiurgo altro (la fonte è un romanzo di Camilo Castel Branco).

Ecco quindi che le affascinanti carrellate definiscono lo spazio, marcano la distanza dai personaggi, ma allo stesso tempo è come se li abbracciassero, condividendo sottilmente il loro dolore, sottolineato dalle magistrali partiture dello score di Jorge Arriagada. Perché questa è sì una storia di intrighi, misteri svelati e coincidenze che portano personaggi apparentemente lontani a condividere il medesimo destino, a incontrarsi e scontrarsi grazie alle impervie strategie del Caos e del Caso, ma è anche una vicenda di amori e sentimenti di volta in volta cercati e negati, di felicità e dolori in perenne inseguimento.

Di concerto con l'attenta sceneggiatura di Carlos Saboga, il maestro cileno orchestra dunque una sinfonia di situazioni che si dipartono dalla traccia principale, intrecciando flashback dove i vari personaggi raccontano la loro storia e svelano i rispettivi segreti. Si crea in questo modo una struttura a vasi comunicanti dove un'unica storia è paradigma di molte altre, le genera e ne è a sua volta influenzata, in una inesauribile proliferazione di nuove possibilità. L'espediente amplifica dunque la sensazione di un lavoro sulla forma del racconto e genera, oltre a una continua variazione ritmica, una perenne e sapiente capacità di valorizzare un espediente tipico del racconto seriale (narrativo e cinematografico), quello della rivelazione: il film mantiene sino all'ultimo la sua freschezza, oltre che per la straordinaria forza visiva impressa dalla regia, anche perché riesce a rigenerarsi continuamente attraverso le inedite prospettive fornite dalle rivelazioni dosate con estrema cura. E la moltiplicazione dei luoghi e delle identità (alcuni personaggi chiave cambiano nome e a volte aspetto) si allinea a questa volontà di continua scomposizione e ricomposizione, compiuta non per mero esibizionismo teorico, ma per chiarire la natura estremamente inafferrabile della vita e della felicità, dove ogni storia resta come emblema di una condizione di perenne vagare fra stati d'animo sempre provvisori.

Frutto di un sapiente sforzo dell'illuminato produttore Paulo Branco, Misterios de Lisboa è il paradigma di una narrazione seriale matura e in grado di elevarsi al di sopra del medium di destinazione: pensato per la televisione, insomma, ma potente come il miglior cinema. In Italia è stato acquistato dalla Rai, speriamo che ottenga la necessaria visibilità.

UPDATE 2012: Il film è stato trasmesso in tv da Fuoriorario il 24 settembre 2011. Il titolo viene perciò aggiornato con quello italiano


I misteri di Lisbona
(Misterios de Lisboa)
Regia: Raul Ruiz
Sceneggiatura: Carlos Saboga, dal romanzo di Camilo Castelo Branco
Origine: Portogallo, 2010
Durata: 266' (versione cinematografica)

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