"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

lunedì 14 marzo 2011

Il Grinta (2010)

Il Grinta (2010)

1880. La giovanissima Mattie Ross giunge a Fort Smith per recuperare il corpo del padre, ucciso dal balordo Tom Chaney. Intenzionata a vendicare la morte dell’amato genitore, Mattie assume il burbero sceriffo federale Rooster Cogburn perché si rechi in territorio indiano e catturi Chaney. Ai due si unisce il Texas Ranger LaBoeuf, intenzionato a riscuotere la taglia che pende sulla testa dello stesso Chaney per l’omicidio di un senatore. Refrattari ad essere accompagnati dalla piccola, che impone la sua presenza, Cogburn e LaBoeuf impareranno ben presto ad apprezzare la determinazione.


Sebbene i fratelli Coen abbiano rivendicato la filiazione diretta dal romanzo originale di Charles Portis, la nuova versione de Il Grinta non può comunque prescindere da un confronto con la prima trasposizione cinematografica di Henry Hathaway, realizzata nel 1969 e che valse al grande John Wayne l’Oscar come miglior attore protagonista. Da Wayne passiamo al non meno strepitoso Jeff Bridges ed è sintomatico notare come il corpo iconico stesso degli attori sia di per sé capace di sintetizzare lo spirito e di conferire il giusto tono a entrambe le versioni, nei quali emergono le più pregnanti differenze. Tanto infatti Il Grinta “classico” era solare, ambientato quasi sempre di giorno e sorretto dai memorabili duelli verbali fra Cogburn, LaBoeuf e Mattie, tanto il nuovo film è crepuscolare, notturno in molte sue parti e vede la giovane protagonista primeggiare sui due comprimari, in uno scenario dove pure i ruoli dei tre appaiono più definiti e al contempo sfumati quel tanto che basta da non settare eccessivamente il ritmo sulla contrapposizione interna al gruppo.

La finalità è quindi abbastanza evidente: nel 1969 la Paramount sentiva il bisogno di riflettere i cambiamenti interni a una società che vedeva acuirsi gli scontri generazionali, schierando un’icona di classicismo ancora in piena forma, opposta alle nuove leve attoriali (sarà un caso, ma fra i cattivi risaltavano due attori simbolo come Robert Duvall e, soprattutto, Dennis Hopper). Si trattava, insomma, di rendere merito alla grinta di un vecchio leone come il fordiano Wayne e non a caso il tono generale era quello di una dicotomia comunque destinata a stemperarsi in una certa bonarietà di fondo, esattamente come il carattere di Cogburn, burbero, ma capace di grandi slanci d’umanità e ironicamente redarguito dalla giovane protagonista.

Ciò che invece emerge nel Grinta secondo i Coen è un tono elegiaco in cui la sintesi apportata dal corpo sfatto e decadente di Bridges guarda più ai tardi revisionismi del Wild Bill di Walter Hill che alla mitologia e allo splendore dei classici. Ma, nonostante questo, il tono generale non è definito soltanto dai personaggi: c’è un contesto che nell’originale era alquanto anonimo e che qui invece rivendica con forza la sua preminenza, complice un uso estremamente intelligente della fotografia di Roger Deakins. Gli scenari della Frontiera sono quelli di una natura tanto affascinante e selvaggia, quanto silente testimone di scontri uno-contro-uno sullo sfondo di una dicotomia legalità/brutalità che è poi quella del Nuovo West civilizzato contro quello classico. I Coen in questo modo imprimono un tono del tutto personale a un film che riesce a svicolare dalle trappole del contrappunto verbale per diventare autentico piacere della messinscena di una storia, non esclusi i risvolti più problematici.

La bravura dei due fratelli sta dunque nella loro capacità di giocare con una potenza visiva che non diventa astrazione o, ancor peggio, sterile estetizzazione, ma al contrario è propedeutica a un sentire emotivamente il sapore di un’epoca lontana che si gioca le sue ultime carte attraverso una caccia all’uomo in cui le convinzioni sulla legalità di Mattie vengono messe a dura prova, ma che pure sono utili alla riuscita dell’impresa. La posta in gioco è alta e il film non nasconde il pessimismo e l’amarezza che pure connotavano l’altra grande opera coeniana degli ultimi anni, lo splendido Non è un paese per vecchi. Stavolta, viene da pensare, il paese non è ancora per vecchi, ma nemmeno per giovani e il personaggio di Mattie (la straordinaria debuttante Hailee Steinfeld) evidenza questa contraddizione attraverso un carattere tipico di chi è stato costretto a crescere in fretta e a tenere testa tanto ai cavilli legali quanto all’asprezza delle battute di caccia all’uomo e al morso dei serpenti. La struttura a flashback dunque evidenzia la gloria di un passato ormai lontano, mentre il presente del finale non si pasce nella fiducia che ammantava l’ending del film originale, ma al contrario evidenza l’asprezza di un mondo difficile dove le esperienza di vita più difficili lasciano segni indelebili sui corpi.

In questo senso il nuovo Grinta è un film non soltanto figlio del suo tempo, ma ben più allineato rispetto al suo presente di quanto non lo fosse il precursore, il cui ottimismo appare ancora oggi alquanto posticcio (e non aiuta una regia di Hathaway francamente alquanto anonima). Al contrario la versione coeniana della storia riesce a riprodurre a meraviglia il senso di un mondo che ha smarrito i suoi valori e perciò si palesa lungo un percorso fatto di corpi putrefatti dimenticati in buche nel deserto, impiccagioni, giustizia sommaria fra compagni di viaggio, cadaveri appesi in mezzo al nulla e usati come merce di scambio. Un mondo tanto affascinante nella sua umanità quanto terribile.


Il Grinta
(True Grit)
Regia e sceneggiatura: Joel e Ethan Coen (dal romanzo di Charles Portis)
Origine: Usa, 2010
Durata: 110’

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