"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

mercoledì 30 luglio 2008

Hellboy – Hellboy: The Golden Army

Non paia azzardata o fuori luogo l’affermazione per cui Hellboy sta a Guillermo Del Toro come Spider-Man a Sam Raimi. Sebbene differenti, infatti, le due saghe hanno un aspetto in comune: in entrambi i casi si respira un grande rispetto per il protagonista (e il relativo mondo) nato sulle tavole del fumetto originale, ma anche una perfetta aderenza di storie e personaggi all’universo figurativo e tematico dei rispettivi autori. In questo senso non si riesce a pensare a un regista differente da Guillermo Del Toro per trasporre su grande schermo le avventure del diavolo rosso creato da Mike Mignola nel 1993 per la casa editrice Dark Horse. Già nei suoi migliori lavori, infatti, il regista messicano aveva denotato una forte tensione verso la creazione di mondi dove le forme del reale si piegavano senza soluzione di continuità, ma con piglio molto “normale”, a quelle del fantastico o della fiaba: o forse, più semplicemente, è l’elemento fantastico a trovare nello sguardo di Del Toro quella legittimazione a esistere che gli permette di apparire credibile, vero, sullo schermo senza creare conflitti con la nostra sospensione di incredulità: il miglior fantasy, in fondo, si fa così e riuscire a mantenere un perfetto equilibrio fra i due opposti (realismo e immaginazione) non è cosa da tutti.

C’è poi l’aspetto citazionista, non meno importante, che permette a Hellboy di riverberare echi, fra gli altri, da Ghostbusters e Indiana Jones, che sanciscono in fondo la natura in parte retrò dell’operazione: in effetti a ben vedere Hellboy ha poco del blockbuster. Un protagonista simpatico e irridente non è sufficiente a mascherare un ritmo che si prende i suoi tempi nella descrizione degli eventi e che pur perseguendo una logica barocca nello snocciolare mostri e scenari, non appare mai tronfio, ma anzi spesso estatico e assorto nella contemplazione di ciò che va ponendo in essere, ed evita anzi anche i più classici e fracassoni “mega scontri finali” (i duelli con i cattivi, soprattutto nel primo film, si risolvono anzi con una certa fretta). In fondo proprio un secondo possibile parallelo con il cinema di Steven Spielberg inquadra bene un altro punto della poetica di Del Toro, quello dell’affabulazione, della capacità cioè di sapere e volere meravigliare il pubblico (in particolare quello dei più piccoli) ponendo di fronte ad esso il piacere per la scoperta di un altrodove fantastico iscritto negli interstizi del reale ed esplorato con grande divertimento: la scena in cui Hellboy incontra il suo piccolo fan nel primo film in questo senso è ben più che paradigmatica.

Ecco dunque presentarsi ai nostri occhi personaggi fantastici e irresistibili: accanto a Hellboy, interpretato con ruvida ironia dal grande Ron Perlman, troviamo Abe Sapiens, cui dà corpo ed eleganza nei gesti il bravo Doug Jones, permettendo al personaggio di vanificare con poche apparizioni qualsiasi tentativo di realizzare velleitari remake del capolavoro di Jack Arnold Il mostro della laguna nera; oppure la dolce Liz Sherman, confusa e contesa compagna del protagonista capace di rovesciare la propria umanità in strumento dispensatore di morte grazie ai suoi poteri di pirocinesi; oppure ancora lo strepitoso nazista karateka Kroenen, protagonista di duelli ottimamente coreografati, che nel secondo capitolo trova un satirico corrispettivo nel petulante ma geniale dottor Johann Krauss, ma anche nell’impeto guerriero del fiero principe Nuada; il tutto fino alle creature che riecheggiano i Grandi Antichi di Howard Phillips Lovecraft (altro nume tutelare caro a Del Toro): e in mezzo il giusto spazio per approfondire i legami tra i personaggi, che conferiscono profondità alla storia e danno sostanza a un mondo messo in scena con grande passione.

La recente uscita di Hellboy: The Golden Army amplifica e puntualizza i concetti cari al regista, e l’attenzione data ai legami affettivi come motori del mondo, connotativi di un’identità che superi i limiti imposti dai ruoli e dalle realtà, crea splendidi momenti melò che vedono coinvolti Abe Sapiens e la principessa Nuala, ancora Hellboy e Liz, alternando ironia, meraviglia e commozione. E’ uno spettacolo sontuoso, quello offerto dal film, che proprio nella natura onnicomprensiva riesce a riunire la poesia malinconica del fantasy Universal (e in questo senso l’abbandono della produzione Sony appare a dir poco benefico) con il piglio creativo tipico dei grandi visionari e degli artisti che alla esaltazione della fantasia hanno dedicato la loro vita (Ray Harryhausen, Tolkien, Michael Ende). E’ grazie ad essi e a una macchina-cinema unicamente protesta verso il desiderio di infondere vita in ciò che viene creato, rendendoci partecipi delle quotidiane scaramucce e delle lotte d’onore di protagonisti e antagonisti, che la fabula ancora una volta riverbera la bellezza e il piacere del racconto. La fotografia del sodale Guillermo Navarro dà poi corpo e tridimensionalità a figure che non appaiono come mere creature digitali o frutto di tecniche di make up, ma a personaggi con i quali è possibile empatizzare, a prescindere dal loro ruolo, mentre le musiche di Danny Elfman possono fare pensare a un logico ponte con il cinema di Tim Burton (ma va ricordato che il grande compositore ha scritto anche le colonne sonore proprio dei primi due Spider-Man) anche se alcuni passaggi riportano allo splendore poetico del magnifico score di Philip Newton Howard per Lady in the Water di M. Night Shymalan.

In mezzo, ancora una volta, Del Toro, divertito e partecipe anfitrione dello spettatore lungo i percorsi di uno spettacolo che arricchisce l’immaginario dando fondo a una inesauribile vena creativa che si unisce a quella di Mignola lasciando letteralmente a bocca aperta, liberi di sognare e perdersi nell’angusto spazio dell’inquadratura, altra e più importante soglia (come le tante che i protagonisti devono varcare nel corso della storia) verso i mondi dell’immaginazione.

Una saga semplicemente indispensabile per dare nuova linfa ai sentimenti e alla capacità mitica del cinema, che quindi supera la semplice trasposizione fumettistica e merita la più alta considerazione.

Sito americano di Hellboy
Sito italiano di Hellboy: The Golden Army
Sito americano di Hellboy: The Golden Army
Sito americano di Hellboy (fumetto)
Fansite su Guillermo Del Toro

1 commento:

Anonimo ha detto...

Molto bello il tuo pezzo, l'amore per del Toro traspare tutto. Io stesso mi son fatto catturare, e credo sia proprio perché, come dici tu, è un autore che del concetto di blockbuster nella sua definizione più corriva non sa che farsene: è un artigiano la cui artigianalità si fa amore visivo e realmente viscerale. Come Spielberg, volendo (guardando forse soprattutto anche all'ultimo Spielberg), ma Spielberg mi sta un po' sulle palle (con stima), mentre a questo bambolinone voglio proprio bene. Speriamo non si metta a fare occasionalmente "film seri" pure lui--