"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

giovedì 20 marzo 2008

Un‘altra giovinezza

Romania, 1938. Dominic Matei ha dedicato la sua vita all’analisi dei linguaggi, nel tentativo di scoprire l’origine della comunicazione orale, e a questo ha sacrificato anche l’amore per Laura. Un giorno, improvvisamente, viene colpito da un fulmine che, miracolosamente, lo ringiovanisce di trent’anni donandogli anche il potere di capire ogni lingua. Anni dopo, nonostante Dominic non voglia sfruttare la nuova occasione per proseguire i suoi studi, l’incontro con Veronica, possibile reincarnazione di Laura, gli fornisce la possibilità di ritrovare l’amore, ma anche di sprofondare nuovamente nelle sue ossessioni. Per questo Dominic dovrà fare una scelta.

Dieci anni sono trascorsi senza il cinema di Francis Ford Coppola: è il pensiero che immediato trafigge la mente dopo la visione di Un’altra giovinezza, che giunge due lustri dopo L’uomo della pioggia. Viene proprio da chiedersi come sia stato possibile fare a meno per così tanto tempo di un talento che non ha mai rinunciato alla sperimentazione e alla voglia di traghettare lo spettatore verso nuovi percorsi, impervi certamente, ma anche capaci di slanci poetici non comuni.

“Trovo che il cinema sia intimamente legato alla forma poetica, piuttosto che alla prosa della fiction. La metafora è da sempre l’arma più potente di cui dispone il cinema: io ho solo tentato di illuminare la vita dello spettatore – questo è un film da letteratura del cinema.” Sono le parole con cui lo stesso Coppola ha presentato il suo nuovo progetto, ispirato all’omonimo libro di Mircea Eliade, esperto di storia delle religioni.

Mentre la narrazione prosegue, ci si rende conto perfettamente di come il dualismo che avvolge il protagonista Dominic Matei sia lo stesso che caratterizza Coppola, che riesce a essere al contempo criptico, inafferrabile, eppure perfettamente vicino al cuore dei personaggi e ai temi della sua filmografia. Asciugando il plot di ogni orpello, infatti, è evidente come l’annullamento temporale che porta Dominic ad attraversare gli anni in cerca dell’amore sia lo stesso che già caratterizzava il Dracula di Bram Stoker. E che per questo c’è nella sua odissea un sapore che è quello del Mito. Ma allo stesso tempo c’è una presa di coscienza di come questo viaggio sia anche un percorso a ritroso nella mente dello stesso Dominic, che per i suoi studi aveva rinunciato all’amore e che proprio nel ritrovare l’amata riscopre anche il desiderio di continuare a indagare nelle origini del linguaggio. Veronica infatti soffre di regolari crisi che la portano a ritroso ad attraversare il tempo, attraverso le sue varie reincarnazioni, fino a un presunto punto d’origine che la porterà però a invecchiare precocemente e ad annullare se stessa. E’ solo un caso che tutto questo avvenga dopo l’incontro con Dominic? Verosimilmente è lui a determinare il destino della sua amata, è lui anche ad avere creato un universo sul quale ha il controllo (che sia della materia o del pensiero) e quindi è lui ad amare ma ad essere al contempo il carnefice della compagna.

La sfida di Coppola è intima eppure filosofica: il regista riflette infatti su quanto il desiderio d’amore si accompagni all’egoistico compiacimento dei propri voleri, a scapito spesso di chi è vicino. E per questo il suo film ci mostra quanto Dominic sia affine a quel Conte Dracula che ringiovaniva a scapito di altre vite devastate. Ma tutto questo avviene ancora una volta senza complessi di superiorità, attraverso una empatia con i personaggi che porta a soffrire dei loro tormenti e a essere partecipi delle loro scelte più difficili.

Parimenti all’horror del 1992, poi, Coppola dispiega il suo disegno attraverso un lavoro sulla forma che media tempi diversi, attraversando generi e stili: la prima parte è quindi affine al lavoro di ombre e luci che si ritrova tanto nel cinema espressionista quanto nelle ombre cinesi che sono all’origine stessa dell’artificio cinematografico. Per questo motivo il set tradisce spesso una impostazione teatrale, è inquadrato frontalmente e i personaggi sembrano come ritagliati all’interno di scenografie fisse. Il lavoro sulla eccellente fotografia di Mihai Malaimare Jr conduce senza particolari soluzioni di continuità al noir (fra gli estimatori del film non sono mancati riferimenti al Fritz Lang di Dietro la porta chiusa), che si colora poi di fantascienza: l’inserimento di elementi mistico-religiosi non può in questo senso non far pensare alle sperimentazioni più estreme di Kubrick o King Hu (2001: Odissea nello spazio o il finale di A Touch of Zen). Un’affinità non tanto estetica quanto morale, perché poi originale è il modo in cui Coppola combina questi elementi creando un amalgama di antico e moderno. Anche per questo motivo Un’altra giovinezza è un film che appare “piccolo”, vicino a certi racconti di Richard Matheson (o a certi episodi di Ai confini della realtà), e la sua sperimentazione formale non fa venire meno un accorto lavoro sugli attori, da uno stranito Tim Roth a una intensa Alexandra Maria Lara. E stupisce notare come, nonostante i suoi inattesi Detour che aprono al lirismo e alla speculazione mistico-filosofica più libera, rimanga sempre una traccia narrativa forte, che ci fa capire come Coppola sia stato capace di mediare fra lo stile narrativo eurasiatico e quello americano.

Un lavoro di sintesi, dunque, per un film che, come sempre con questo regista, precorre i tempi. Forse fra alcuni anni saremo in grado di percepirne la reale importanza. Nel frattempo non possiamo che restarne ammirati e gioire per questo importante ritorno.

Un’altra giovinezza
(Youth Without Youth)

Regia: Francis Ford Coppola
Sceneggiatura: Francis Ford Coppola, dal romanzo di Mircea Eliade
Origine: Usa/Germania/Italia/Francia/Romania, 2007
Durata: 124’

Intervista a Francis Ford Coppola
Pagina di Wikipedia su Mircea Eliade

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