"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

giovedì 25 gennaio 2018

Mickey – Uomini e Topo

Una chiacchierata al bar: così Tito Faraci definisce nelle prime righe questo suo bel libro dedicato a Topolino, testata (e personaggio) per cui scrive dagli anni Novanta. L'intento è confermato dal tono colloquiale di alcune parti, che si alternano però ad altre in cui la lucidità dello sceneggiatore mette in riga concetti e pensieri con un'ordine che fa pensare più alla saggistica che alla semplice chiacchierata. È un po' la stessa separazione che si crea fra il personaggio e la sua testata, fra i momenti in cui Faraci ci parla del “suo” Mickey come esistesse davvero, avallando la sospensione d'incredulità dell'appassionato che in fondo crede sempre che i suoi eroi siano reali; e i passaggi in cui entra invece nei meccanismi dello scrivere, che in un certo qual modo svelano la finzione, ma senza demistificare, perché tutto in fondo è pensato per esaltare il piacere dell'atto creativo.

La struttura a capitoli molto serrati (25, contando anche introduzione e intermezzi, per poco meno di 140 pagine di testo) affastella ricordi e considerazioni, cercando una traccia ben definita, ma concedendosi il piacere della distrazione/divagazione, che ci riporta all'idea della chiacchierata: in effetti, quello che rivelano le pagine è che Mickey – Uomini e Topo è una sorta di Zibaldone in cui dialogano l'autore e l'appassionato. Che Faraci ami Topolino traspare in maniera indubbia, non solo perché il libro, dichiaratamente, vuole spiegare chi sono Mickey Mouse - per lui ne esistono “almeno un paio. C'è il primo, quello dei cartoni animati. E c'è quello attuale, dei fumetti” - ma anche perché difende molte scelte (editoriali e non) che nella vulgata corrente sarebbero da considerarsi impopolari. Prima fra tutte la presunta “antipatia” di Topolino, contrapposta alla “simpatia” di Paperino, fino al nodo dei limiti imposti dalla testata su cosa si può e non si può rappresentare – essenzialmente il divieto su violenza e temi scabrosi.

Il Faraci autore, dal canto suo, sottolinea la versatilità del personaggio – che la sua generazione ha in larga parte contribuito a svecchiare - pur all'interno di una serie di regole molto ben codificate, che gli consentono quella universalità riconosciuta a varie latitudini. Anche e soprattutto quelle italiche dove si creano la maggior parte delle storie a fumetti (“Abbiamo delle responsabilità, noi autori italiani, nei suoi confronti”). Si crea così un contrappunto con la struttura libera eppure ben definita del libro stesso. Faraci racconta perciò il rinnovamento della testata dagli anni Novanta, fornendo interessanti retroscena sul lavoro redazionale, e analizza alcune storie topiche del suo percorso, da Dalla parte sbagliata, sul rapporto di contrapposizione/amicizia impossibile fra Topolino e Gambadilegno, a La lunga storia del commissario Manetta, sul celebre detective del commissariato di Topolinia – entrambe le storie si possono leggere su Topolino Black Edition, compendio che raccoglie alcune fra le più rappresentative storie gialle del topo, firmate da Faraci, ecco la cover:


L'autore entra poi nei meccanismi stessi della narrazione, rivolgendosi chiaramente a un pubblico che conosce il personaggio, ma magari non ha una familiarità più allargata con il mezzo-fumetto in sé, arrivando anche a un esempio diretto con un confronto sceneggiatura/tavola finita nella seconda metà del volume.

In un passaggio particolarmente interessante, Faraci, punta inoltre l'indice contro i lettori adulti “che vogliono sempre la stessa sbobba”, costringendo quindi i personaggi a una perenne immobilità. A questa contrappone la curiosità imperante fra i bambini, lettori ideali anche e soprattutto perché capaci di cogliere le iniezioni di novità di cui gli autori cercando continuamente di farsi carico. Fra le spiegazioni e le puntualizzazioni del caso, insomma, Faraci racconta se stesso e i lettori, da quelli della prima ora ai neofiti, e riesce a farci capire i punti di forza di un personaggio e un periodico che è sempre stato capace di dare forma a un intrattenimento popolare, ma colto. Un po' come il suo autore che nel corso della trattazione sembrerà anche intraprendere strade molto lontane dal tema, citando opere distantissime dalla tradizione disneyana, per poi recuperare sempre il filo. In questo senso, la lettura si rivela utile e divertente. Proprio come un buon numero di Topolino.

Mickey – Uomini e Topo
di Tito Faraci
add editore, collana Incendi
Prima edizione, Novembre 2016
144 pagine, 12 euro

martedì 30 maggio 2017

Dieci anni nel paese delle meraviglie

Dieci anni nel paese delle meraviglie

L'uscita del libro di Alberto Ferrarese, scritto insieme ai figli Lapo e Niccolò e finanziato attraverso una fortunata campagna di crowdfunding, è stata accolta in Rete con molto interesse, anche per la sua capacità di andare a coprire un vuoto editoriale nella pur corposa saggistica relativa all'immaginario “anni Ottanta” - virgolette d'obbligo per sottolineare ancora una volta come questa definizione copra in realtà un periodo molto più grande. Il motivo di tale mancanza, va da sé, è prettamente economico: se, infatti, il cinema, i fumetti, i libri e l'animazione restano per loro natura transgenerazionali e capaci di mantenere la fidelizzazione con il pubblico lungo le varie età della vita (leggasi: di poter continuare a generare profitto per chi li produce), per definizione i giocattoli sono relegati alla sola sfera infantile e quindi, una volta traslati sull'età adulta, restano isolati a discorsi nostalgici di nicchia, utili per lo più alla produzione di cataloghi fotografici. O per lo meno questa è la valutazione corrente, evidentemente da ripensare alla luce del successo dell'operazione e del business che ormai ruota intorno al concetto di nostalgia: è insomma l'inizio di un trend editoriale legato al giocattolo? Al tempo ogni sentenza, qui ci limitiamo a constatare che l'argomento interessa nella misura in cui ci permette di affrontare un discorso sempre più completo sulle trasformazioni dell'immaginario pop negli ultimi decenni.

Il volume in questione racconta quindi l'esperienza professionale di Ferrarese nel decennio 1976-1986 e il lavoro della sua agenzia pubblicitaria Phasar, che si è occupata di pianificare, definire e portare avanti il lancio e le campagne pubblicitarie italiane dei prodotti distribuiti dal consorzio Gruppo Italiano Giocattoli, più noto come Linea GIG. Quindi ecco rievocati brand famosi come Playmobil, Micronauti, Diaclone, Transformers (o meglio “Trasformer”, e nel volume è ben spiegata la differenza), Pelocaldo e altri ancora, e la loro “invasione” delle case italiane attraverso le campagne orchestrate in particolare attraverso gli spot televisivi e le pubblicità sul magazine di Topolino – il blog dell'amico Apreda ha persino dedicato una rubrica apposita a queste pagine del periodico disneyano.

Il libro, poderoso nella mole e corposo nei contenuti, è abile nello stabilire un particolare rapporto empatico con il lettore: da un lato, infatti, si offre con la forza impressionante dei numeri elencati con orgoglio nella quarta di copertina, che sottolineano la ricerca attenta portata avanti dagli autori per fornire un quadro il più completo possibile dell'epoca e delle campagne di Phasar, attraverso interviste alle figure interessate e ricerche d'archivio; a questa scelta oppone poi, con intelligenza, una narrazione in prima persona, che scansa il rischio dell'opera fredda e compilativa, per dare forma invece a una sorta di diario, capace di instaurare un dialogo con il lettore che ricorda e rievoca le pubblicità via via elencate nel testo.

Il viaggio nel Paese delle Meraviglie (come da slogan del consorzio) inizia così con un attento resoconto dell'esperienza umana di Ferrarese, dagli anni giovanili dominati dalla passione per la musica – poi tornata utile per la realizzazione dei vari jingle pubblicitari – alla creazione di Phasar, fino al rapporto professionale con Gianfranco Aldo Horvat, presidente di GIG. La narrazione è attenta a restituire, attraverso una fitta aneddotica, un ritratto profondamente umano delle lavorazioni, senza però abdicare all'intento informativo: pertanto, ferma restando la godibilità del testo, il lettore è messo nelle condizioni di entrare nei meccanismi della realtà pubblicitaria e delle strategie comunicative utili a “vendere” un prodotto. Chiaramente l'intento commerciale prescinde dal valore dei singoli prodotti, ma Ferrarese è onesto nelle valutazioni e rivendica la natura creativa delle sue campagne, volte a esaltare il valore formativo del giocattolo in quanto mezzo capace di liberare la fantasia dei più piccoli. Il concetto di “meraviglia” promesso dal marchio GIG, insomma, è stato, nelle dichiarazioni dell'autore, la linea guida che ha permesso al consorzio italiano di farsi promotore di un giocattolo (e di una promozione) di qualità.

Pubblicità Trasformer su Topolino, dalla pagina FB del libro - © Phasar

La seconda parte del volume, la più ampia, passa in rassegna i principali brand importati da GIG, divisi in due categorie: i prodotti “strategici”, pensati cioè per uno sfruttamento di lungo periodo, e quelli “tattici”, utili per riempire i mesi di vuoto fra un titolo più forte e il successivo. Per ogni linea vengono spiegate le scelte fatte per il lancio italiano, sono elencate le pubblicità di Topolino (con tanto di numero di ogni prima uscita), fino al commento, sequenza per sequenza, dei vari spot televisivi. L'apparato iconografico è pure molto ricco, con foto di dimensioni ridotte e in bianconero, che hanno un intento non tanto collezionistico, quanto meramente esplicativo. In chiusura troviamo infine i bozzetti originali a colori delle principali campagne orchestrate dall'agenzia fiorentina.

La prima parte è senza dubbio la più interessante, per la panoramica generale e completa della storia di Phasar e GIG, dalla nascita del consorzio fino alla sua chiusura e alla tragica fine di Horvat, e per le motivazioni creative e commerciali già enunciate; la seconda è più specialistica e visibilmente pensata per ovviare alla mancanza dei supporti visivi, ma solo chi ha visto realmente gli spot potrà comprendere bene le scelte effettuate da Phasar, per gli altri la ricognizione rischia di risultare un po' pedante. In effetti un'alternativa poteva essere quella di allegare un DVD in modo da snellire parte del volume, che con le sue circa 600 pagine sembra allinearsi a una certa tendenza attuale a produrre opere extralarge: ma forse è l'unico modo possibile per solleticare, con la sua tensione “completista”, il pigro pubblico abituato a trovare in rete le informazioni di cui ha bisogno. In questo caso, ovviamente, nessun motore di ricerca potrà rimpiazzare un racconto così di prima mano, perché redatto da chi quel periodo e quel settore ha praticamente contribuito a crearlo e a renderlo, evidentemente, memorabile.


Dieci anni nel Paese delle Meraviglie: La pubblicità per Linea GIG dal 1976 al 1986
Di Alberto Ferrarese, Lapo Ferrarese, Niccolò Ferrarese
Phasar Edizioni, Dicembre 2016
584 pagine, 35 euro
  


giovedì 30 marzo 2017

Il manga: Storie e universi del fumetto giapponese

Il manga: Storie e universi del fumetto giapponese

Difficile, in Italia, tentare un confronto sereno sul fumetto giapponese, per molti motivi: in primo luogo per l'impressionante mole di materiale prodotto lungo i vari decenni nell'Arcipelago, e per una forma di mercato organizzato secondo una tale logica industriale da travalicare le facili classificazioni all'Occidentale. Il manga di per sé è infatti diviso in pubblici specifici, generi codificati, ma allo stesso tempo è “aperto” a contaminazioni che finiscono naturalmente per andare oltre gli incasellamenti imposti dal rispetto delle regole tradizionali.

Come se non bastasse, a queste motivazioni intrinseche del mezzo si unisce la particolare dicotomia di un pubblico italiano diviso fra la passione smodata dei cultori, che nell'esaltazione acritica ne deprimono le reali potenzialità rinchiudendole in una fruizione totalmente autoreferenziale; e la diffidenza degli osservatori più distaccati, che appiattiscono il dibattito su sterili confronti con il fumetto occidentale e con la sua presunta maggiore levatura “artistica”, il tutto, ca va sans dire, in un'ottica di assoluta generalizzazione. A corollario possiamo aggiungere anche il rapporto di minoranza che il fumetto nipponico patisce rispetto all'animazione, che per prima ha determinato l'imprinting delle storie giapponesi sulla società italiana e europea.

Il saggio di Jean-Marie Bouissou arriva quindi a colmare un vuoto critico sintetizzato da queste problematiche e lo fa in maniera assolutamente mirabile. L'autore, pur non nascondendo la sua passione per la materia, incarna alla perfezione un punto di vista decentrato quale può essere quello di un europeo adulto (è sulla sessantina), perfettamente consapevole della sua storia e della sua cultura, che si confronta in modo fecondo con una forma espressiva altra, cogliendone in questo modo il variegato insieme di peculiarità.

Bouissou, infatti, riesce a riassumere le fasi storiche che hanno visto il manga evolversi nel corso del tempo, e ne coglie le caratteristiche espressive e commerciali con una sagacia che gli permette, spesso, di sovvertire alcune ipotesi ormai diventate materia corrente nella vulgata contemporanea. In particolare, l'autore riconduce la presunta “sconcezza” delle storie disegnate alla matrice popolare di un Giappone che “adorava le grandi sceneggiate e i fiumi di lacrime, i fantasmi con le catene e il sesso, il piacere e il dramma in tutte le loro forme. Un Giappone che non amava nulla più che […] andare in giro per le strade portandosi appresso dei falli giganti durante le feste popolari e religiose”. Un lato ormai dimenticato e ridimensionato dal confronto con l'Occidente - avvenuto attraverso l'abolizione della politica isolazionista prima e l'occupazione americana all'indomani della Seconda Guerra Mondiale – che quindi trova oggi espressione unicamente in queste forme artistiche.

Si può già notare come Bouissou prediliga una forma critica che unisce all'esplorazione delle caratteristiche tipiche del fumetto nipponico in tutte le sue principali articolazioni, una lucidità storica che gli permette di ricondurre ogni stilema al particolare sentire della nazione, conseguente il suo rapporto con il mondo: iscritto geograficamente in un'area già oltre l'Asia e non ancora in Occidente, il Giappone vive un difficile rapporto identitario con se stesso e con il mondo, che se da un lato gli permette quella versatilità rimarcata in precedenza, ne fa d'altra parte il territorio di costante elaborazione di una problematicità evidente nelle sue storie. Per questo motivo, se Bouissou riesce a centrare molto bene i meriti del manga, allo stesso tempo ne evidenzia anche i limiti, ovvero la tendenza sotterranea a una generale standardizzazione volta a esaltare sempre il rispetto dell'esistente e il mantenimento dello status quo. Anche quando spinge l'acceleratore su quella violenza e quella volgarità subito percepita in Occidente come tratto distintivo e che invece è da contestualizzare in una più ampia casistica di attenuanti che il saggio in questione enumera con straordinaria franchezza.

Il volume si presenta così diviso in tre principali sezioni: una storica (Storia del manga), che passa in rassegna il percorso compiuto dal fumetto, dalle origini alla nascita del manga moderno nel primo dopoguerra, mostrandone la capacità di intercettare le spinte contestatarie negli anni Sessanta e Settanta, fino al raggiungimento dello status di mezzo di diffusione di massa e alla più recente crisi. La seconda parte (Comprendere il manga), entra invece nel merito delle scelte espressive e dei generi, partendo proprio dalle superficiali percezioni degli osservatori occidentali sui fumetti “disegnati male” e sulla loro natura eccessiva, creando anche interessanti collegamenti con la fiaba e la psicanalisi. In questo senso, Bouissou non teme di utilizzare anche moduli analitici tipicamente occidentali, ma la lucidità e il rispetto dimostrato nei confronti della materia gli permettono di evitare qualsiasi decontestualizzazione.

L'ultima parte (Il mondo secondo i manga) passa infine in rassegna i vari filoni e generi, con le più interessanti argomentazioni sull'espressione della sessualità, che pure esprimono la dicotomia fra una morale sociale orientata a contenere gli slanci fisici e le pulsioni vitalistiche destinate a emergere con i progressivi cambiamenti sociali (“Specchio fedele delle evoluzioni della società e della mentalità, il manga non ha smesso di riflettere le trasformazioni della mascolinità e della femminilità nipponici e l'evoluzione della relazioni tra i due sessi che si cercavano e si avvicinavano con tanto desiderio quanta goffaggine, a mano a mano che crollava il muro che il rigido confucianesimo dell'epoca Edo aveva eretto tra loro”).

Un ulteriore punto di forza del lavoro di Bouissou è lo stile, che rende la lettura estremamente scorrevole, quasi “appassionante” e capace perciò di andare oltre i rigidi steccati del fandom per rivolgersi anche ai neofiti, che sicuramente troveranno ampie argomentazioni per esplorare questo variegato universo. Ricco come un manuale e profondo come un'indagine storico-sociologica, Il manga è arricchito, nell'edizione italiana, da un ricco apparato iconografico e da un'introduzione di Marco Pellitteri che, sebbene troppo radicale nel suo differente approccio accademico, fornisce un'utile panoramica d'insieme sul lavoro di Bouissou, offrendone un'ulteriore lettura alla luce della situazione italiana (Paese che, va ricordato, possiede la comunità di cultori più vasta al di fuori della madrepatria). Ulteriore motivo che rende il saggio esaustivo e assolutamente imperdibile.

Il manga: Storia e universi del fumetto giapponese
di Jean-Marie Bouissou
2011
Edizioni Tunué, Latina
400 pagine

Il libro sul sito dell'editore
Jean-Marie Bouissou su Wikipedia France

martedì 23 agosto 2016

Monnezza amore mio

Monnezza amore mio

A me Tomas non piace, mentre Monnezza sì. Tomas è vulnerabile, ingenuo, timido, Monnezza è coraggioso, saggio, estroverso. L'unica cosa che abbiamo in comune è il senso dello humor.” Non può esistere migliore sintesi di questa per approcciarsi a questa biografia scritta da Tomas Milian, in collaborazione con Manlio Gomarasca, culmine di quella che era nata come un'intervista (mai pubblicata) e che ha poi assunto la forma di una tela di Penelope, rinviata e limata all'infinito sino all'uscita nelle librerie, in concomitanza con il ritorno a Roma dello stesso Milian nel 2014, per ricevere il premio Marc'Aurelio alla carriera dalla Festa del Cinema.

Nelle pagine del libro c'è infatti Tomas che racconta la sua vita, dall'infanzia a Cuba, segnata dal drammatico suicidio del padre (di cui il giovane e futuro attore fu diretto testimone), la voglia di fuggire dal contesto borghese di nascita, l'amore per la recitazione sulle orme di James Dean, fino agli anni del successo romano e della tarda carriera americana quando, con un gesto decisamente coraggioso, Milian abbandonò il sicuro approdo italiano per reinventarsi come caratterista hollywoodiano e ricominciare così daccapo. La storia è in effetti quella di continui re-inizi, e continue reinvenzioni del proprio sé, sul set e nella vita, raccontata con ricchezza di aneddoti e senso dell'umorismo, ma senza risparmiare nulla sulle parentesi più drammatiche. Su tutto domina il dualismo fra Tomas e il suo alter ego cinematografico, lo sfrontato Monnezza, sia nell'originaria forma del ladro che in quella più tarda dell'ispettore di Polizia – che sarebbe Nico Giraldi, anche se Milian chiarisce una volta per tutte che il personaggio è Monnezza, a livello progettuale e di fatto, anche se non fu possibile usare il nomignolo per problemi di diritti.

Così Tomas racconta e Monnezza spesso interviene nella narrazione con i suoi commenti sfrontati e a tratti demistificatori, inscenando un finto dialogo fra le due facce della stessa personalità, e riverberando quel tema della “maschera” che ricorre in tutta la narrazione: maschere sono infatti quelle che l'attore usa per assumere di volta in volta nuove identità sul palcoscenico, ma la maschera (in senso figurato) è anche il filtro con cui Milian “recita” la sua vita, in base alle aspettative proprie e altrui – subito dopo il suicidio del padre, Tomas spiega di aver “recitato” il suo dolore, come ci si sarebbe aspettato da lui, che era invece rimasto completamente svuotato dal gesto: “Stavo recitando. E da quell'istante recitare, per me, è diventato l'equivalente di mentire, ingannare.”

Sarà anche per questo che il distacco finto e un po' sornione con cui l'attore rievoca divertito i vari passaggi della sua esistenza possono apparire come un'ulteriore maschera: lo stile è piacevole e attento a dosare le parti ironiche con quelle più problematiche, ma nel complesso il ritratto non appare mai forzato perchè Milian rivendica una filosia basata “su nient'altro che non fosse emozioni e sentimenti.

La biografia è quindi senz'altro l'ennesima rappresentazione dell'attore, dove i fatti sono reali, forse romanzati un po', ma l'attitudine di fondo è quella dell'uomo che vuole mettere in scena la verità dietro le scelte di una vita, per emettere il suo “giudizio” su quanto ha passato. Milian non si fa sconti, riconosce i propri meriti ma evidenzia anche i tanti sbagli, si definisce icasticamente “uno stronzo, ma non di quelli che dicono stronzate”, perfezionista ma generoso, uno che fugge dalla sua condizione primaria di “borghese e corrotto” per avvicinarsi sempre più alla gente, ed essere così “estroverso, allegro, simpatico, paraculo, buono, puro, dritto e comunista”. Come il “suo” Monnezza e come l'amico e controfigura Quinto Gambi.

Il ritratto riesce così a intenerire, divertire e far riflettere, perché fra le righe di una narrazione apparentemente semplice nella sua linearità emerge il travaglio di una personalità complessa, tipica di chi, raggiunti gli 80 anni, può forse considerarsi “arrivato” professionalmente, ma – a quanto pare – non umanamente, dopo un'esistenza spesa a cercare il punto di equilibrio fra l'uomo e l'attore. Nella contrapposizione fra tutte queste maschere emerge così un'umanità fatta di debolezze, cadute e successi e di una carriera piena di rischi, senz'altro lontana dall'aura del divo che pure connota la figura di Tomas Milian in più passaggi, dove la vita e il cinema si uniscono in un tutt'uno e il libro ha la vitalità di un film ma le sfaccettature di un diario. Forse, questa biografia non è che un punto di inizio e l'ennesimo film di Tomas e Monnezza deve ancora prendere forma.


Monnezza amore mio
di Tomas Milian, con Manlio Gomarasca
2014
Edizioni Rizzoli, Milano
304 pagine

lunedì 8 agosto 2016

Tokyo: La guida nerd

Tokyo: La guida nerd

Il nuovo libro di Alessandro Apreda non è un saggio, ma una guida, dichiarata fin dal titolo, per gli appassionati del variegato universo dell'intrattenimento che ruota attorno al Giappone: quindi seguaci di animazione, telefilm, videogame e quant'altro, anche se i confini possono essere agevolmente espansi, considerata l'influenza che l'industria dell'intrattenimento nipponica ha sull'immaginario italiano da almeno tre decenni (un argomento già trattato in questi spazi).

L'intento dichiarato è molto semplice: fornire una mappa che aiuti il neofita dei viaggi in Giappone perché vada a colpo sicuro nella sua ricerca di luoghi caratteristici o negozi in cui dare sfogo alla propria passione per gli immaginari di cui sopra – riassunti nel termine “nerd”, in realtà alquanto detestabile, ma che l'autore spiega di preferire al nipponico “otaku” per l'evidente connotazione negativa che quest'ultimo ha tuttora nel suo paese d'origine. Come ci ricorda lo stesso autore, da un decennio a questa parte l'industria culturale nipponica ha riscoperto il proprio appeal commerciale presso un variegato pubblico che travalica i suoi stessi confini - il termine utilizzato è diventato una sorta di autentico marchio, “Cool Japan”. All'estero non è dunque infrequente imbattersi in operazioni come quella compiuta da Apreda: un esempio è l'opuscolo, “Japan Anime Tourism Guide”, promosso dall'Agenzia del Turismo Giapponese in varie lingue (io ho la versione in francese, esiste anche quella inglese). Come spesso accade, l'Italia, in barba alla sua folta comunità di appassionati, non sembra essere stata particolarmente sfiorata dal fenomeno e dunque il libro in questione arriva a colmare un vuoto.

L'accompagnamento del lettore avviene in modo semiserio, attraverso uno stile diretto e colloquiale, abbastanza scevro dei neologismi umoristici che Apreda utilizza sul suo blog, ma senza risparmiare battute: l'approccio passa al setaccio, un quartiere alla volta, i luoghi della meraviglia, fornendo non solo rapide spiegazioni, ma anche consigli, informazioni utili per muoversi nella metropoli asiatica, e il senso di un sentire condiviso che diventa non solo un accompagnare “per mano” il lettore, ma anche dare il senso di familiarità e comprensione del “problema”.

In effetti, ciò che colpisce positivamente del libro è la generosità con cui Apreda non cade nella facile trappola dell'ostentazione: non siamo, insomma, di fronte a uno scritto un po' narcisista con cui l'autore magari tenta di fare sfoggio della sua conoscenza della materia, ma di un libro che vuole essere soprattutto utile, nel senso stretto del termine, e partecipe della comune passione, riverberando a ogni pagina la forza dell'immaginario comune e della meraviglia che esso suscita da tanto tempo. L'autore evoca non a caso il paese dei balocchi di Collodi, conosciuto attraverso oltre un decennio di viaggi che permettono anche di elencare le trasformazioni avvenute in un arco temporale così lungo: in effetti un po' spiace che Apreda non approfondisca questi aspetti più “sociologici”, ma il criterio dell'utilità senza troppe divagazioni resta la linea guida del progetto e, in fondo, anche questo è un segno di onestà intellettuale verso il lettore (non è un saggio, è una guida dopotutto).

Nel complesso vengono passati in rassegna diversi temi dell'intrattenimento: animazione, collezionismo, sport, video e retrogame, gli immancabili manga e persino la cucina, anche se i negozi restano il baricentro essenziale della ricerca, a scapito magari di musei e case di produzione (in questo senso l'opuscolo dell'Agenzia del Turismo citato in precedenza può comunque costituire un ottimo compendio).

La cover completa (fronte/retro), con il bel disegno di Manuel Preitano

Graficamente il volume si presenta riccamente illustrato su carta lucida, con brossura morbida e la bella cover di Manuel Preitano accompagnata, internamente, dai disegni di Lucia Debidda: lo spessore ridotto non tragga in inganno, ogni pagina è infatti pregna di scritte, box, mappe e quant'altro. Il sapore è quello di una pagina web dove si aprono mille finestre pop-up, e crea dinamismo nell'impaginazione, sfruttando ogni angolo per fornire le maggiori informazioni possibili, tanto da divertire anche nella continua ricerca di nuovi dettagli, magari sfuggiti alla prima lettura. Qualcosa potrebbe naturalmente cambiare dal momento della lettura a quello dell'eventuale viaggio, ma l'utilità non è messa in discussione e il divertimento è assicurato. D'altra parte, come scrive lo stesso autore “Il viaggio, almeno per chi legge una guida, deve in genere ancora iniziare: tra poco, tra molto, o anche soltanto forse un giorno, chissà. In fondo si inizia a viaggiare già con la testa, nel momento stesso in cui si culla l'idea di una nuova avventura, e la fase della pianificazione è divertente quasi quanto vivere quei luoghi poi di persona.


Tokyo. La guida nerd
di Alessandro Apreda
2016
Limited Edition Books, Reggio Emilia
140 pagine

Il libro sul blog di Alessandro Apreda
Il libro sul sito dell'editore
Cool Japan su Wikipedia
Agenzia del Turismo Giapponese

martedì 19 luglio 2016

'80 L'inizio della barbarie

'80 L'inizio della barbarie

La saggistica sugli anni Ottanta, come già evidenziato, tende per lo più ad appiattirsi sul ricordo nostalgico di chi ha vissuto sulla propria pelle (infantile) quel decennio e il suo composito immaginario, partorito da televisione, cinema, musica, fumetti e quant'altro. Ma qual era il cuore pulsante di un'epoca che si presentava con il ritratto spensierato della Milano da Bere, consegnata ai posteri dal memorabile spot di un amaro nel 1985?

Paolo Morando, giornalista e vicecaporedattore del “Trentino”, ci ricorda che, in fondo, l'approccio al nuovo decennio fu tutt'altro che lieto: il 1980 consegna infatti alle cronache la strage di Ustica, quella della stazione di Bologna e il terremoto dell'Irpinia. Nell'arco di appena un paio d'anni vanno registrati anche i sequestri, da parte delle Brigate Rosse, del magistrato Giovanni D'Urso, del dirigente del petrolchimico di Marghera Giuseppe Taliercio, di Roberto Peci, fratello del pentito Patrizio, dell'assessore campano Ciro Cirillo; la lista di inizio decennio prosegue, come un fiume in piena, con la scoperta degli associati alla Loggia P2, l'assoluzione degli imputati per la strage di Piazza Fontana, l'attentato a Giovanni Paolo II, la morte di Roberto Calvi a Londra, il trauma nazionale di Vermicino con la morte del piccolo Alfredino Rampi, l'agguato al Generale Dalla Chiesa, l'assalto alla sinagoga di Roma... chiunque abbia un minimo di ricordo dei telegiornali dell'epoca, rievocherà facilmente uno scenario difficile, marchiato da eventi luttuosi e disastri, quelli citati da Morando non sono nemmeno tutti: la Storia sembra insomma ribaltare un disegno poi abilmente coperto dall'euforia generata da eventi più lieti, come la vittoria della Coppa del Mondo di Calcio nel Mondiale di Spagna, che nel 1982 arriva a riunire l'Italia intera (e fa anche dimenticare lo scandalo calcio-scommesse, sempre del famigerato 1980).

Come si può notare, la contrapposizione è fra una Storia reale che sembra tracciare ferite profonde nella coscienza collettiva, e macro-eventi che svolgono una funzione rigenerante per l'immaginario altrimenti malconcio del nuovo decennio. Il saggio di Morando cerca pertanto di lavorare proprio su questa doppia traccia: da un lato riporta alla luce fatti di cronaca ormai dimenticati, che smitizzano e riscrivono l'aura degli Ottanta; da parte dell'autore, si badi, non c'è la facile voglia di abbattere i miti di una generazione. Nelle sue parole, anzi: “è difficile dar torto ai quarantenni di oggi e al loro struggersi: più che della propria gioventù, e ci mancherebbe, è il ricordo di un'età dell'abbondanza poi mai più ritrovata, del moltiplicarsi dei palinsesti, di carrelli pieni nei supermercati, merci e suggestioni. Sogni e futuro. Una visione legittimata da chi ha provato a raccontare quegli anni al di là di date, eventi, governi e Pil.

L'autore cerca però di stare ai fatti e stabilire come, nel calderone delle memorie, vadano analizzate con più puntualità alcune delle simbologie più ambigue del decennio, spesso derubricate con l'alibi della leggerezza, della goliardia e del “dolce ricordo”, per comprendere come proprio nell'epoca dell'apparente spensieratezza si piantavano i semi di problematiche che sarebbero poi esplose con la loro evidenza solo in futuro.

Morando parte quindi da cinque temi/categorie, riassunte in altrettanti capitoli: L'Italia nordista racconta i prodromi del leghismo e la scoperta di una feroce divisione Nord/Sud sintetizzata dallo slogan “Forza Etna”, collegato alla problematica eruzione del 1983, evidentemente eletta dagli antimeridionalisti a strumento divino di “pulizia” per cui fare il tifo. Ripensando agli ignobili commenti razzisti apparsi in questi giorni sui Social Media a proposito della strage dei treni di Corato, in Puglia, si capisce come la riflessione sia centrata. Quello dell'antimeridionalismo è un tema che ritorna un po' in tutto il volume: lo ritroviamo infatti anche nel terzo capitolo, L'Italia becera, centrato in gran parte sul fenomeno di Radio Parolaccia, ovvero il microfono aperto di Radio Radicale che divenne una valvola di sfogo per gli istinti più violenti e razzisti degli ascoltatori, lasciando emergere uno sconcertante ritratto del “paese reale”, fino ad allora del tutto ignorato – con buona pace di chi ancora oggi lo ricorda come un fenomeno spassoso, si vedano i commenti divertiti ai video di YouTube dedicati alla questione. Ancora l'ultimo capitolo, L'Italia razzista, sebbene si concentri in modo particolare sui fenomeni collegati all'immigrazione dai paesi africani, dando voce a tante storie sconcertanti di quotidiana intolleranza, non manca di rivangare ulteriormente la divisione fra Nord e Sud.

I due capitoli rimasti, L'Italia paninara e L'Italia rampante affrontano invece l'aspetto più discusso ed esteriore degli anni Ottanta, ovvero il mito edonistico dell'apparenza collegata alla ripresa economica, anche in questo caso legato a doppio filo alle problematiche identitarie pronte a sfociare nelle contrapposizioni evidenziate nel resto del volume. L'autore continua a interrogarsi sul reale significato di iconografie e mode, non propende per facili soluzioni, ma indaga gli aspetti più controversi di un'Italia che vuole apparire civile ma si scopre sempre più incattivita.

Morando è bravo a non personalizzare mai troppo le varie problematiche, evitando così il rischio di creare facili capri espiatori (pur facendo sempre nomi e cognomi): ciò che infatti sembra interessargli è mettere in luce una serie di tendenze poco visibili, ma profondamente diffuse, che dicevano dello spirito di un'epoca e di una nazione che si lasciava alle spalle le ferite del terrorismo e le battaglie ideologiche dei decenni precedenti, andando incontro al futuro con un sorriso, ma senza elaborare le profonde trasformazioni che nel frattempo erano maturate nella coscienza collettiva, la cosiddetta pancia del Paese.

L'aspetto più interessante del volume riguarda lo stile: la divisione in cinque macro-argomenti non impedisce infatti all'autore di adottare una forma narrativa molto scorrevole, che spesso devia dal percorso principale attraverso divagazioni utili a ribadire la natura composita dei fenomeni raccontati. Ci si ritrova così guidati lungo percorsi dove punti apparentemente lontani si collegano e si cerca di dare corpo a una visione ad ampio raggio: ogni aspetto finisce così per nascondere molte possibili sfaccettature e un unico punto prospettico può aprire diversi percorsi tematici (per orientarsi nella galassia di riferimenti viene utile l'indice dei nomi pubblicato in coda).

Il libro abbraccia fino in fondo questo punto di vista “allargato”, lasciando al lettore le considerazioni finali, senza tirare somme in maniera troppo netta: l'impressione che la lettura suscita è dunque quella di un'epoca complessa e difficile, per l'Italia e non solo (sebbene la politica estera resti sullo sfondo, evocata soltanto quando ha ricadute dirette sulla scena nostrana). Un ritratto quindi più reale di quello propagandato dalla saggistica più celebrativa, non rancoroso, che rappresenta un primo passo per una storicizzazione più equilibrata, sebbene ancora impossibile, vista la vicinanza del periodo preso in esame - “L'inizio” del titolo può essere letto anche in questo senso.

L'analisi può dunque dirsi un buon punto di partenza, complice anche la ricca documentazione riassunta dall'autore in un capitolo apposito, preferito alle classiche note a pie' di pagina – il sottoscritto avrebbe preferito questa seconda e più classica soluzione, ma è comprensibile l'esigenza di non appesantire eccessivamente la lettura.


'80 L'inizio della barbarie
di Paolo Morando
2016
Editori Laterza, Roma-Bari
243 pagine

lunedì 9 maggio 2016

Per il potere di Grayskull

Per il potere di Grayskull

Amati e odiati in egual misura, gli anni Ottanta restano un decennio controverso: spensierati o futili? Fantasiosi o egoisti? A sostenere le ragioni assolutorie è soprattutto un'ampia saggistica che poggia sull'effetto nostalgia, sulla consapevolezza che un'intera generazione ha attraversato quel periodo negli anni della prima infanzia/adolescenza, assorbendo per osmosi il ricchissimo insieme di influenze prodotte da cinema, televisione, fumetti e quant'altro, senza preoccuparsi troppo del resto. Si deve comunque precisare come questo tipo di rievocazioni spesso indichino come “anni Ottanta” un periodo che in realtà si allunga perlomeno fino ai Sessanta, complici gli sfasamenti temporali della distribuzione – l'invasione dei cartoni animati giapponesi, ad esempio, ha importato con un paio di decenni di ritardo materiale anche molto precedente.

Molti libri si sono perciò impegnati a fare da guida in questo mare magnum di suggestioni infantili: Per il potere di Grayskull di Alessandro Apreda si presenta come uno dei più agili e divertenti, complice un piglio che è allo stesso tempo partecipe e demistificatorio, perché orientato a esaltare alcuni paradossi dell'epoca. L'autore infatti ci tiene a precisare che il volume, più che una guida canonica è “un insieme di ricordi e suggestioni che quel periodo porta ancora alla mente, patrimonio comune, trent'anni più tardi, per chi all'epoca era già in giro a fare danni con un pupazzino dei Masters o una Barbie in mano” – il che ci riporta anche alla precisazione di cui sopra, essendo la bambola Barbie in giro fin dal 1959.

Chi frequenta la blogosfera ha già familiarità con il particolare stile di Apreda: il suo blog L'Antro Atomico del Dr. Manhattan è infatti un'autentica bibbia della nostalgia, affrontata con piglio sistematico ma non apologetico, grazie a un'ironia sempre vincente e uno stile scoppiettante (sublimato da una serie di neologismi in parte presenti anche nel volume qui considerato), in grado di restituire immagini sempre molto vivide – si pensi a frasi come “palloni di cuoio veri ne giravano pochi, e quelli che giravano finivano presto spellati sull'asfalto mangiaginocchia o ingoiati da voraci balconcini di condomini anziani”.

Il libro evoca così, con semplicità e divertimento, quindici punti nodali dell'immaginario anni Ottanta, spesso associati ad altrettante icone: le proiezioni cinematografiche gratuite per vendere enciclopedie; lo zainetto Jolly; il calcio giocato per strada con il Super Santos; la linea di giocattoli dei Masters of the Universe; l'invenzione del Walkman, i cartoni animati giapponesi sportivi e di robot; i telefilm; le sale giochi; gli home computer della Commodore; il Cubo di Rubik (non amato dall'autore); le bici BMX; l'estetica tamarra dei film alla Top Gun; i cataloghi della Postalmarket e il cinema di fantascienza.

Ne viene fuori una geografia di luoghi e segni che Apreda affronta da una prospettiva chiaramente molto personale, ma che riesce a creare risonanza con i lettori che hanno effettivamente vissuto quel periodo, segno della particolare comunanza di vedute e interessi che ha unito suo malgrado lo stivale. Per il lettore novizio sarà invece interessante notare gli incredibili paradossi di un'epoca che espandeva la modernizzazione iniziata nei Sessanta del boom economico, modulandola attraverso un'estetica del futuro ormai a portata di mano (si noti l'elemento tecnologico dato dagli home computer, dal Walkman o dalla fantascienza), attraverso scaltre strategie di massa (le catene di giocattoli come i Masters o i Transformers). Apreda in questo senso è bravo a sottolineare come si trattasse soprattutto di una illusione di futuro, attraverso estetiche kitsch, pur nei toni ammorbiditi garantiti dall'effetto nostalgia. In questo senso, ogni capitolo è chiuso da una nota in cui si sottolineano le differenze tra passato e presente (“Ti accorgi che sono passati trent'anni perchè...”), tra un decennio che si credeva all'avanguardia, e una realtà che ne ha presto smascherato le velleità.

Il fine, come già evidenziato, resta comunque assolutorio, volto a orientare l'entusiasmo di un'epoca che esaltava il piacere del fantastico a misura di bambino e che, fra le varie mostruosità del caso, ha anche seminato molte opere positive. La prospettiva a volo d'uccello non garantisce eccessivi approfondimenti, e a volte cede eccessivamente alle logiche di una scrittura che vuole far soprattutto divertire, ma nel complesso il ritratto è sincero e piacevole alla lettura, nella consapevolezza che “sfilare quegli occhiali con le lenti rosa [della nostalgia] è sempre un casino”.


Per il potere di Grayskull – Meraviglie e mostruosità degli anni 80
di Alessandro “DocManhattan” Apreda
2014
Limited Edition Books, Reggio Emilia
128 pagine