"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

giovedì 11 ottobre 2012

Reality

Reality

Luciano lavora a Napoli in una pescheria, è marito e padre di famiglia ed è una persona gioviale, che cerca di far quadrare il bilancio e non cedere alle difficoltà della vita. Spinto dai familiari, un giorno partecipa per gioco a un casting per la nuova edizione del Grande Fratello, senza aspettarsi nulla. Con sua grande sorpresa, invece, viene convocato a Roma per una seconda fase di selezione e da quel momento si convince di essere stato scelto. Per questo passa i mesi seguenti in uno stato di profonda tensione, inizia a vedere possibili spie della trasmissione dappertutto, fino a sfociare in un comportamento ossessivo che lo porterà a mettere a rischio tutto quello che ha, compresi gli affetti familiari.


Realtà e Reality. Due termini che normalmente dovrebbero essere lo stesso, in due lingue differenti, ma che invece al giorno d'oggi hanno finito per diventare distinti e determinare un intervallo: quello fra la concretezza del vero e la sua rappresentazione mediatica. Il problema inizia quando non si riesce più a distinguerle e la vita quotidiana si trasforma in un grande spettacolo: Matteo Garrone si è fatto carico di indagare la contraddizione insita in quell'intervallo e lo ha fatto nel modo più poetico e intelligente che si potesse pensare, attingendo a tradizioni di lunga data, dimostrando come l'arte – più di ogni altra cosa – sia un punto d'osservazione privilegiato.

Nelle maschere irresistibili che connotano la vicenda di Luciano, infatti, possiamo vedere un omaggio alla tradizione teatrale partenopea, così come nel protagonista stesso un discendente dei tanti volti agrodolci della commedia all'italiana (e fa solo venire i brividi pensare che l'attore è in realtà un ergastolano condannato per strage, giusto per rimarcare un altro possibile gioco di sovrapposizioni). Non è un caso che Garrone rievochi questi modelli. Lo fa per appartenenza a filoni che possedevano un'ampia vena satirica, unita a una capacità unica di veicolare le loro istanze con grande immediatezza. Ma lo fa anche perché, a un livello secondario, il film è completamente avvolto dall'idea della rappresentazione e, quindi, non può che rimandare a modelli di fiction.

Se la commedia italiana e la tradizione teatrale delle “maschere” costituiscono modelli nobili, Reality evoca comunque fin dal principio altri possibili esempi di rappresentazione, mostrandone la loro perfetta compenetrazione con gli schemi culturali e sociali dell'Italia. Abbiamo quindi il matrimonio e la sua coreografia spettacolare (con tanto di visita del “divo” baciato dal successo televisivo e foto di gruppo); oppure la pescheria, dove Luciano è su una pedana-palco da cui chiama a raccolta i clienti come un esperto entertainer. L'idea del “palco” si ritrova anche nel piccolo balcone dal quale Luciano regala la mobilia di casa agli avventori che crede essere emissari dello show televisivo. In ogni momento della sua vita, quindi, Luciano è già un “personaggio”, in cerca di una legittimazione.

Garrone fa però un doppio passo in avanti, chiamando in causa sacro e profano. Non va infatti dimenticato che un altro momento di rappresentazione, profondamente legato a un rituale, è quello della Via Crucis cui Luciano va ad assistere nel prefinale. E in effetti tutto il film è attraversato sottilmente anche da una vena cristologica che ci rimanda alla religiosità come sublimazione di una ritualità rappresentata: questo diventa evidente sia nella letterale odissea che il protagonista patisce e che lascia intravedere i segni di un'ossessione degna di un invasato religioso, sia nel momento in cui “chiede udienza” al divo Enzo mostrandosi attraverso una grata che ha il sapore dello spazio angusto di un confessionale.

D'altronde, non è il “confessionale” uno degli spazi più celebri proprio del Grande Fratello? E quindi è logico che a un livello primario la trasmissione tv sia quella che riassume tutti gli spunti fin qui enumerati, sia il motore degli eventi e la sua sintesi, che trova facile sponda in quella società che vorrebbe asetticamente raccontare, ma che invece sottilmente plasma e plagia. Garrone non cade nel manicheismo di credere che la tv sia il Male, ma - esattamente come accadeva con i suoi film precedenti - si pone nella posizione dell'osservatore, proponendo frequenti riprese dall'alto e iscrivendo il film fra il movimento a scendere iniziale e quello a salire del finale, che sembra quasi richiamare ancora una volta un motivo religioso, quello dell'ascesa dell'anima.

Il rischio, a questo punto, è quello di un film arido e pianificato a tavolino, magari succube della scrittura più che della possibilità di elaborare gli spunti visivamente. Ma non è questo il caso: Garrone dimostra infatti una malinconica empatia per il suo personaggio e chi gli sta attorno e si dimostra più interessato al suo dolore che alla natura ossessiva del suo male (d'altra parte da questo versante verrebbe agilmente surclassato dal grandissimo Amir Naderi di Vegas). Perciò abbandona spesso le riprese dall'alto per incollarsi ai volti degli attori e quasi li accarezza: la sua “osservazione” non è quindi giudizio morale, ma più che altro una fascinazione estetica per un mondo che sotto lo sguardo della sua macchina da presa mostra la sua trasfigurazione.

In questo modo Garrone riesce a entrare nella mente del protagonista, marcando il passaggio dalla Realtà al Reality attraverso l'intercessione della massima fiction possibile: quella della fiaba. Così, quando, nel magnifico finale, Luciano arriva alla casa del Grande Fratello e la osserva dai vetri esterni prima di “varcare la soglia”, non sembra di vedere Alice prima che attraversi lo specchio? Per questo la scena ha il sapore di un sogno, una consistenza assolutamente fantastica. È in quel momento che tutte le direttrici convergono: Luciano varca il cancello del suo Paradiso. Che però è soltanto suo, è lo spazio che gli permette di riconciliarsi con la propria ossessione, di non essere più un “caso” medico e di ritrovarsi al centro del mondo più agognato, ma solo e ignorato da tutti. Un finale potentissimo e lirico, il più giusto che si potesse chiedere a questo film straordinario.


Reality
Regia: Matteo Garrone
Sceneggiatura: Matteo Garrone, Massimo Gaudioso, Maurizio Braucci, Ugo Chiti
Origine: Italia, 2012
Durata: 115'

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