"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

venerdì 3 agosto 2012

Machete Maidens Unleashed!

Machete Maidens Unleashed!

Può apparire quasi scontato il fatto che dopo il grande successo riscosso da Not Quite Hollywood, Mark Hartley abbia realizzato un secondo documentario, sempre a tema exploitation. Possiamo magari pensare a una furba manovra, di quelle orchestrate a tavolino, in cui il regista si è guardato intorno, con un atlante in una mano e un volume di storia del cinema dall'altra, in cerca della cinematografia più esotica e meno nota alle platee internazionali. Invece se una cosa non possiamo imputare a Mark Hartley è il cinismo, tanto che il film nasce da input abbastanza diversi e in modo abbastanza casuale. Tutto parte dall'idea di realizzare sì un secondo documentario, ma su Roger Corman e la factory dei cosiddetti “cormaniani”, che, come i cinefili ben sanno, comprende nomi poi diventati importanti, come Joe Dante, Jonathan Demme e via citando. Ma l'argomento è già sfruttato e quindi l'intenzione svanisce in un cassetto.

A questo punto si inserisce un secondo progetto, in cui Hartley pare si trovi coinvolto, ovvero il documentario The Search for Weng Weng: fortemente voluto da Andrew Leavold, collega indipendente australiano, il film in questione intende ripercorrere le tracce di un autentico fenomeno exploitation dei primissimi anni Ottanta, quello della trilogia filippina ispirata al ciclo di James Bond, ma che aveva per protagonista... un nano, Weng Weng appunto! Non se ne fa nulla perché Hartley scopre che l'attore è ormai deceduto e che la storia non offre dunque materiale abbastanza consistente per reggere la durata di un intero lungometraggio (fra l'altro non è dato sapere se poi Leavold sia riuscito a portare a termine il progetto, c'è un blog dedicato che però è fermo al 2010). Il seme comunque è ormai piantato e il risultato che ne deriva è Machete Maidens Unleashed!, che riassume perfettamente tutto questo percorso.

Le Filippine che hanno generato il culto di Weng Weng e del suo Agente 00, sono state infatti per un certo periodo il teatro di coproduzioni a basso costo con l'America, che hanno generato un cinema ancor più selvaggio di quello Ozploitation e altrettanto sconosciuto: è l'occasione giusta per raccontare una nuova produzione sommersa e, allo stesso tempo, omaggiare quel Roger Corman che di quelle coproduzioni fu uno dei più accaniti contributori (e beneficiari). Inoltre, non va sottovalutata la portata estremamente controversa del tema, vista la turbolenta situazione politica dello stato asiatico negli anni Settanta, complice la presidenza di Ferdinand Marcos, che nel 1972 impose il coprifuoco instaurando la dittatura... e nonostante questo era ben contento di permettere agli americani di girare sul suo territorio storie che spesso inneggiavano a fughe da dittature parafasciste!

Hartley, insomma, racconta ancora una volta un mondo dalla doppia identità, dove capitalismo sfrenato e istinti libertari si intrecciano liberamente e trovano peraltro nella figura dello stesso Corman il paradigma delle proprie contraddizioni: il grande produttore indipendente, infatti, era ossessionato dal guadagno e dal successo, ma allo stesso tempo si poneva come alfiere di un cinema politico, capace di respirare le istanze libertarie che animavano il complesso quadro storico-politico dell'epoca. Il fatto stesso che lo sguardo di Hartley sia trasversale (in quanto proveniente da un documentarista australiano che racconta la storia di una cinematografia altra, che si contamina con il contesto indipendente “Off-Hollywood”) permette di comprendere meglio la cifra controversa di questo particolare momento dell'industria cinematografica americana e filippina. Attenzione, però: tutto questo è ciò che ribolle sotto traccia. In superficie, Machete Maidens Unleashed! è infatti una autentica “B-Movie Feast” che omaggia la cifra più chiaramente eccessiva di produzioni sgangherate, dove abbondano nudi, mostri, azione a rotta di collo, ragazze armate di mitra e machete (appunto) e la consapevolezza che la sicurezza degli interpreti è opzionale di fronte alla necessità di portare a casa il risultato con il minor sforzo (economico) possibile, in modo da massimizzare il guadagno.

Hartley affronta la materia usando lo stesso stile “pop” di Not Quite Hollywood, ma facendo anche attenzione a seguire un percorso lineare. Possiamo così riassumere la storia di questo cinema american-filippino sotto il nome di tre registi: Eddie Romero (specialista in horror con mostri e nudi), Ciro H. Santiago e Bobby A. Suarez (a loro agio con l'azione e la blaxploitation), mentre i generi citati comprendono anche una grande parentesi dedicata ai Women In Prison, ovvero i film di donne in fuga da prigionie, che forse meglio di tutti gli altri riassumono i presunti istinti “libertari” di Corman (che pure confessa di non averli amati per la loro cifra estremamente spinta dal versante sessuale).

Il tutto culmina nell'anomala “legittimazione” che l'idea di girare nelle Filippine trova nello sbarco di Francis Ford Coppola per le riprese del suo capolavoro Apocalypse Now: da questo versante Hartley trova non solo la quadratura del cerchio, ma anche il punto di contatto fra le pratiche basse della filippino-exploitation e il cinema “alto” (facendo anche luce sul presunto uso di veri cadaveri sul set coppoliano). Dall'altro versante c'è invece il Manila International Film Festival, fortemente voluto dal regime di Marcos nel 1981 per spronare l'industria locale... e che per ironia della sorte è stato proprio la fucina da cui è emerso il fenomeno Weng Weng (della serie: ultimi “bagliori” di un'era).

Va comunque aggiunto che, passato il momento di esaltazione e divertimento per l'ennesima pagina di cinema sommerso che Hartley riporta a galla, non si può non notare come il materiale proposto sia veramente di basso profilo: diversamente dall'Ozploitation, queste coproduzioni filippine sono infatti povere e non descrivono una realtà produttivamente e artisticamente interessante come quella australiana. Ragion per cui il film finisce per decadere in un'aneddotica spicciola dove risulta più interessante il divertimento per le condizioni assurde di lavoro che per i film in quanto tali. Dunque non aspettatevi di scoprire nuovi tesori, ma se il bizzarro è il vostro credo, il documentario potrà comunque fornirvi carne da mordere. Da precisare che, al pari di Not Quite Hollywood anche questo film è inedito in italia e va rintracciato attraverso i canali dell'import (c'è un'ottima edizione DVD americana a cura della Dark Sky Film, su cui si basa questa recensione).

Al momento Hartley è al lavoro su una terza pellicola, che completerà questa trilogia di documentari sul cinema sommerso: il titolo è Electric Bogaloo e racconterà la storia di una famigerata casa di produzione americana degli anni Ottanta, la Cannon di Menahem Golan e Yoram Globus. Speriamo bene!


Machete Maidens Unleashed!
Regia e sceneggiatura: Mark Hartley
Origine: Australia, 2010
Durata: 88'

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