"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

lunedì 16 luglio 2012

Turkey Shoot

Turkey Shoot

1995. Un regime totalitario è salito al potere per reprimere i disordini sociali, e così sono stati creati dei campi speciali per rieducare i “devianti”, ovvero chiunque manifesti un atteggiamento ribelle verso le autorità. Al Campo 47 arrivano così Paul Anders, voce di una trasmissione radiofonica clandestina che inneggia alla ribellione; Chris Walter, ragazza normale e del tutto estranea ai movimenti antigovernativi, rimasta coinvolta suo malgrado in un'operazione di polizia; Rita Daniels, sospettata di attività contrarie alla moralità pubblica. I tre vengono scelti da Charles Thatcher, direttore del campo, per partecipare a una battuta di caccia: loro saranno le prede e se riusciranno a sopravvivere per un'intera giornata ai cacciatori (nelle cui fila milita lo stesso Thatcher) riguadagneranno la libertà.


30 anni prima di Hunger Games, un altro film catturò il cuore degli adolescenti”: oggi Brian Trenchard-Smith può permettersi di scherzare quando posta sulla sua bacheca Facebook qualche memorabilia di Turkey Shoot, famigerato (s)cult-movie da lui diretto in Australia nel 1982. Ma non è stato sempre così. Il film ha infatti alle spalle una storia problematica, al punto che, se il regista lo ricorda tutto sommato con divertimento, lo stesso non fanno i membri del cast, che a sentirli parlare sembra rievochino un vero e proprio viaggio all'Inferno. Le cose andarono in questo modo: pochi giorni prima di iniziare a girare, il budget subì una grossa decurtazione... c'è chi dice della metà, pare in realtà fosse molto meno, ma comunque si parla di una bella somma, basti pensare che i giorni di ripresa furono drasticamente ridotti da 44 a 30. Peccato perché le ambizioni erano notevoli: si era dopotutto nel pieno di un filone che si divertiva a immaginare realtà distopiche, collocate in un futuro non troppo lontano e in grado di catturare l'immaginazione degli spettatori, fornendo intriganti letture del presente e delle sue spinte più turbolente. Pensiamo al capolavoro 1997: Fuga da New York, che era uscito qualche mese prima, o anche alla saga di Mad Max, che quando si ha a che fare con il cinema australiano non si può fare a meno di nominare.

Così, la produzione aveva pensato in grande, con un set in grado di accogliere migliaia di comparse, e volti noti (e internazionali) come l'argentina Olivia Hussey, l'americano Steve Railsback e l'inglese Michael Craig, cui va aggiunto il David Hemmings di Blow Up e Profondo rosso, qui nelle vesti di regista della seconda unità. Di fronte alle ristrettezze economiche, Trenchard-Smith dové fare di necessità virtù e trasformò dunque il suo film in un exploitation tutta azione e violenza, indicato più per i drive-in e le grindhouses, che per i cinema del centro dove ormai si accoglieva a braccia aperte la fantascienza, purché con ambizioni ben più alte. Le star rimasero, per le comparse ci si dovette arrangiare con un numero inferiore al previsto.

Se l'Inghilterra ha comunque fatto sin dall'inizio la voce fuori dal coro, premiando un film che vedeva un “Thatcher” nel ruolo del cattivo (altro cascame delle iniziali ambizioni), con il tempo Turkey Shoot è diventato materia per cinefili di nicchia, complice magari la riscoperta dell'Ozploitation operata dal documentario Not Quite Hollywood di Mark Hartley (che pure lo reputa “un brutto film”). A rivederlo oggi sembra La pericolosa partita in sedicesimo, girata però come se il regista avesse in testa Quella sporca dozzina. La mano di Trenchard-Smith è energica, e la sua volontà caparbia di portare a casa un risultato ci dona un film assolutamente ostinato nell'offrire emozioni forti, con molte belle intuizioni e un tripudio di azione e violenza sempre attento a mantenere la piena coerenza dell'operazione. Voglio dire: quanti B-movie abbiamo visto che, sì, sono pieni di budella e frattaglie... certo, presentano mostri e situazioni strane a tutti i costi... senz'altro non disdegnano nudi, sadiche virago in odore di lesbismo e altre divertite sortite nel sexploitation... ma che sono terribilmente scollati nelle loro parti e drammaticamente noiosi? Ecco, Turkey Shoot è esattamente il contrario: ogni scena è chiaramente protesa a mantenere il livello del film oltre la soglia dell'interesse, e tara la tonalità del film su una follia senza cedimenti, che spinge a proseguire la visione in uno stato di grande divertimento.

Il che agevola anche la seconda lettura, più “teorica”, per come Trenchard-Smith ha creato, suo malgrado, il perfetto ibrido post-moderno: se un Tarantino o un Rodriguez lo rifacessero oggi non riuscirebbero a rendere Turkey Shoot meno composito e citazionista. Accanto ai riferimenti nobili già citati in precedenza, infatti, il film guarda anche al classico filone delle “donne in prigione” o a quello delle mutazioni corporee, con la figura assolutamente estemporanea dell'uomo bestia che sembra uscito dall'Isola del dottor Moreau. E, naturalmente, il basso budget e la povertà esibita di molte situazioni finiscono per rendere tali riferimenti filologicamente corretti, pur nella dissonanza con la classica cura visiva dei film australiani (che magari giustifica le critiche di tradizionalisti e addetti ai lavori). E' come se il film fosse costruito su due livelli: quello del lavoro sul set, che ci dona un quadro povero di elementi e con effetti posticci (figli del basso budget); e quello della post-produzione, dove il regista ha fatto miracoli per dare ritmo alle scene e unirle a una efficace colonna sonora.

Qualcosa insomma a metà fra l'immediatezza del gesto sul set, dove si cerca di “catturare” le reazioni più spontanee ed efficaci possibili, e l'astuta pianificazione in sala di montaggio, dove si dona organicità al materiale. Per questo si apprezzano alcuni elementi fortuiti come la recitazione nervosissima di Olivia Hussey (pare provocata dal reale timore dell'attrice per le minacce del selvaggio entroterra australiano) e altri causati dall'ingegno, come l'attento lavoro di costruzione dei flashback che, in poche battute, contestualizza i personaggi e permette di capire come sono finiti nel campo di prigionia - il prologo infatti fu la prima cosa a essere tagliata quando il budget si rivelò più basso del previsto, parliamo di 15 pagine di sceneggiatura letteralmente stracciate via in un attimo.

Eccessivo nei toni e cartoonesco nella messinscena, Turkey Shoot rimane quindi un esempio di cinema a tutti i costi, in grado di regalare più di una sorpresa, e rappresenta un buon biglietto da visita per i territori selvaggi della Ozploitation, che continueremo a esplorare in altri appuntamenti del Nido. In Italia è inedito, ma è uscito in DVD in America, Inghilterra e, ovviamente, Australia, sempre senza qualsivoglia sottotitolo (per questo resoconto mi sono rifatto all'edizione della Umbrella Entertainment, ovvero quella australiana, corredata di interessanti extra): lo si consiglia pertanto a chi mastica abbastanza l'inglese, anche se il meccanismo puramente spettacolare lo rende comunque comprensibile e non inficia particolarmente la godibilità delle scene più “forti”. In America è noto come Escape 2000, mentre in Inghilterra come Blood Camp Thatcher.


Turkey Shoot
Regia: Brian Trenchard-Smith
Sceneggiatura: Jon George, Neill D. Hicks (soggetto di David Lawrence, George Schenck, Robert Williams)
Origine: Australia, 1981
Durata: 88'

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