"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

martedì 10 novembre 2009

L’uomo che fissa le capre

L’uomo che fissa le capre

Il giornalista Bob Wilton decide di andare in Iraq dopo essere stato mollato dalla moglie e in questo modo conosce Lyn Cassidy, ultimo esponente dell’ormai smobilitato Esercito Nuova Terra, formato da soldati addestrati all’uso dei poteri psichici, con cui cambiare il corso degli eventi bellici in modo non violento. Ora Cassidy sta tentando di ritrovare Bill Django, fondatore dell’innovativo corpo speciale dell’esercito, e Bob, curioso rispetto agli eventi, lo accompagna, ritrovandosi così coinvolto in una girandola di situazioni surreali.

“Ora più che mai c’è bisogno dei Jedi!”. La frase ha un effetto immediato per come riesce a contestualizzare la doppia direttrice su cui si muove il film, ovvero quella più squisitamente cinefila, ma anche quella che permette alla forza (la Forza) benefica del cinema di affondare nei malesseri di una realtà che ha bisogno di punti di riferimento. Facile dunque vedere L’uomo che fissa le capre come una sorta di moderna rivisitazione della cifra grottesca che aveva reso grande un M.A.S.H. e che dunque punta all’irrisione della guerra attraverso la messa in evidenza della sua assurdità: materiale in questo senso non manca, con in testa i militari americani che si sparano addosso l’un l’altro poiché convinti di essere sotto attacco nemico!

D’altronde se davanti e dietro la macchina da presa c’è un autentico liberal come George Clooney (attore e produttore insieme al socio Grant Heslov, che qui debutta come regista) il sospetto di una voglia di rinnovare il cinema di genere più impegnato è ben legittima: ma soprattutto è importante tenere presente la figura dell’attore americano per permettere alla materia di scivolare dentro e fuori i riferimenti più problematici, dando al tutto una natura ondivaga che ne impedisca il facile imbrigliamento in schemi poco opportuni. Se, infatti, Clooney è anche un corpo coeniano, tanto da rimandare alla bizzarria dei registi di Fratello dove sei?, il film rifugge fortunatamente quel macchiettismo spesso autoreferenziale dei due autori citati, per non perdere mai di vista una dimensione morale che riconduce sempre tutto alla Storia e alla società dell’America (tema, questo sì, squisitamente ascrivibile a tanto cinema di Clooney regista, produttore e interprete).

Pertanto, il viaggio di Bob e Lyn è anche un viaggio nell’evoluzione di un modo di guardare il mondo che dal pacifismo dei Settanta è infine giunto all’aberrazione della dottrina guerrafondaia di George Bush: l’esercito Nuova Terra, dunque, diventa non soltanto un tentativo di ridere della guerra per mostrarne la fragilità concettuale, ma anche, e soprattutto, l’espressione di una volontà coraggiosa che intende fondare una nuova mitologia del soldato, refrattario alla violenza e disposto a operare per il Bene comune. Ciò che dunque il film ci racconta è il tentativo, post Vietnam, realmente portato avanti dall’America (una parte almeno...), di reinventarsi come forza non belligerante ma intenta a cercare nuove strade, salvo poi ripiombare improvvisamente (e senza l’alibi del terrorismo, che nel film è pressoché assente) nella follia della violenza. Perché l’unica autentica rivoluzione che il pacifismo può ancora combattere è unicamente quella culturale: il parallelo con i Jedi è dunque fondante se consideriamo che l’ordine guerriero lucasiano è formato da Custodi della Pace e non da soldati. Il conflitto fra il Lato Chiaro e quello Oscuro è pertanto quello sul confine che porta la difesa della Pace a diventare strumento di guerra e la persuasione psichica votata alla non violenza a mutare in arma assassina che uccide le creature inermi.

Il tutto trova la sua forma attraverso una classica dicotomia fra due personaggi stralunati che incarnano una gioiosa follia, ma anche una curiosità comune per eventi straordinari in grado di ridefinire il rapporto con la speranza: il film, in questo senso, non scioglie l’ambiguità circa la possibile veridicità dell’esercito Nuova Terra fino all’ultima inquadratura, lasciando alla narrazione il compito di affastellare eventi attraverso una serie di flashback che rivelano la storia del corpo speciale. La figura iconica del sempre grandissimo Jeff Bridges unisce così la tensione spirituale dello Starman carpenteriano con l’ironia lisergica del Grande Lebowski, mentre la presenza di Ewan McGregor costituisce il tramite ideale con la saga di Star Wars. Tutti segni cinefili indispensabili per tracciare il percorso lungo cui muovere la storia.

La natura ondivaga del progetto permette quindi alla vicenda narrata di unire insieme una grande forza d’animo, capace di veicolare un messaggio costruttivo, ma anche una forte dose di malinconia per le speranze deluse che hanno lasciato il campo a un nichilismo più disperato. Il percorso, in fondo, è davvero quello di un Jedi che deve combattere la sua battaglia, ignorando la paura e perseguendo il proprio obiettivo. In questo senso L’uomo che fissa le capre è un film che merita di essere amato e seguito, come un monito, ma anche come un raro barlume di speranza in un’epoca che sembra aver perso il senso delle cose e ha persino deprivato i vecchi feticci di ogni carica ancestrale. E’ dunque un film che rimette in circolo idee, ricordi, emozioni e, naturalmente, tanto cinema! Sta a noi portarlo meritatamente in trionfo.

L’uomo che fissa le capre
(The Man Who Stare at Goats)
Regia: Grant Heslow
Sceneggiatura: Peter Straughan, dal romanzo "Capre di guerra", di Jon Ronson
Origine: Usa, 2009
Durata: 93’

Grant Heslov, George Clooney e Ewan McGregor sul film
Sito ufficiale americano
Sito in italiano

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