"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

venerdì 11 aprile 2008

Kung Fusion

Shanghai, anni Trenta. Sing è un ladruncolo che sogna di entrare nella potente Gang delle Asce, che domina la malavita locale: le sue assurde manovre portano l’intera banda a scontrarsi con gli abitanti del Vicolo dei Porci, apparentemente inoffensivi, ma tra le cui fila si nascondono in verità dei potentissimi maestri di arti marziali. Pur di non vedere compromesso il suo onore, il capo della Gang assolda esperti guerrieri ed assassini, ma senza esito. Alla fine le sorti vengono riposte nella Bestia, il più grande killer vivente, padrone di letali tecniche di combattimento. Intanto Sing incontra la ragazzina che da bambino aveva salvato da alcuni teppisti e questo causa in lui una maturazione che lo conduce dalla parte del Bene. E’ solo il preludio a uno scontro finale con la Bestia che libererà la sua energia interiore, facendogli comprendere la sua vera natura.

In patria Stephen Chow è un comico che ha costruito la propria carriera su un umorismo molto popolare, basato su una grande capacità di improvvisazione: in Occidente però la sua stella ha iniziato a brillare quando, alla carriera di commediante, Chow ha affiancato quella di regista di un cinema visivo e capace di rimescolare con intelligenza influenze diverse. Shaolin Soccer è stato il primo tassello del mosaico, ma è Kung Fusion a rappresentare il capolavoro dell’artista: una geniale commedia d’azione che riesce nel delicato compito di parodiare il cinema di arti marziali diventandone però allo stesso tempo un perfetto rappresentante. Chow insomma, dimostra di aver compreso come la componente spettacolare e antirealistica insita nel genere si prestasse naturalmente a un processo di “cartoonizzazione” in grado di divertire il pubblico, ma di non disperdere la cifra epica propria di queste storie.

In questo senso l’inizio è programmatico: l’ascesa al potere della Gang delle Asce cita infatti, nei movimenti ampi e solenni della macchina da presa, i grandi manieristi della storia del cinema, come Sergio Leone, John Woo o Brian De Palma. Dai primi due proviene la cifra epica e lirica in grado di esaltare gli stereotipi in senso virtuoso, scatenando nello spettatore il senso della meraviglia. Dal regista di Carrie, invece, è mutuata la consapevolezza citazionista e la mescolanza dei generi che sfocia nell’accostamento di opposti: ecco dunque che la strage dei nemici diventa una sorta di musical che stempera la crudeltà nell’ironia rimarcando la natura spettacolare dell’insieme.

Nonostante questo, Kung Fusion (poco efficace storpiatura del titolo internazionale Kung Fu Hustle) è anche un film non privo di una sua pungente rudezza: il mondo in cui si ambienta la storia, infatti, non nasconde brutalità, soprusi del più forte sul più debole, aspettative negate, tali da condurre il personaggio di Sing sulla strada della malavita. Il percorso è quello classico iniziatico tipico di molte pellicole di arti marziali, in cui è quasi sempre il rinnegato o il delinquente di turno a scoprire attraverso le tecniche di combattimento quell’equilibrio interiore che lo farà volgere al Bene: l’adesione di Chow al genere, dunque, prima ancora che estetica è filosofica e si intreccia con il tema a lui caro della riscoperta dei valori insiti nell’animo umano. In base a questo tema chiunque è in grado di rivelare un’essenza valorosa, anche le persone apparentemente più insignificanti, esattamente come il bruco diventa farfalla: pertanto i maestri di arti marziali del Vicolo dei Porci appaiono dimessi, viziosi, spesso ci sono mostrati come dei veri incompetenti, che si nascondono dietro professioni umili, ma al momento buono sanno sfoderare una capacità combattiva e un valore senza eguali.

Il che ci porta alla constatazione che il cinema di Stephen Chow è volto al disvelamento della realtà dietro l’effetto speciale, o meglio alla possibile coniugazione fra i due opposti, a una qualità grafica che non nasconde mai l’essenza dei singoli elementi, ma è anzi in grado di esaltarla (caratteristica questa che accomuna i suoi film a quelli di Quentin Tarantino). Pertanto l’assurdità ironica dei combattimenti non disperde mai la centralità dei valori morali positivi, che porteranno lo stesso protagonista a un processo di riscoperta di se stesso, destinato a culminare nel finale.

Qui si consuma peraltro l’altro omaggio a una delle figure cardine del cinema di arti marziali, particolarmente cara a Chow, ovvero quella di Bruce Lee: complice una buona somiglianza fisica, Chow riprende infatti la figura del Piccolo Drago castigatore dei malvagi. L’adesione anche in questo caso è sostanziale prima ancora che formale, dal momento che Lee era artefice di un cinema d’arti marziali realistico e asciutto, distante dalle imprese iperboliche che vediamo compiere a Chow nella sua caratterizzazione. Il simpatico regista/attore asiatico ha infatti ben compreso come Bruce Lee, prima ancora che un maestro e un artista, sia egli stesso un’icona di potenza, la cui aura mitica è il vero lascito donato alle generazioni future e dunque è questo aspetto che si è voluto rimarcare, piuttosto che una mera adesione al suo modello.

Inoltre il film intreccia volutamente epoche e filoni tra loro molto differenti della storia del cinema marziale, dal wuxiapian classico degli Shaw Brothers, al fantasy anni Ottanta alla Ching Siu Tung e le varie influenze sono evidenti anche nelle scelte di casting: fra i protagonisti (cui Chow concede generosamente grande spazio) ritroviamo veterani del genere come Yuen Wah (il “Padrone” del Vicolo dei Porci, in passato controfigura dello stesso Bruce Lee), Yuen Qiu (la “Padrona) e Bruce Leung Siu Lung (la Bestia).

Alle loro evoluzioni si accompagna il superbo apporto degli effetti speciali, dove la computer grafica è utilizzata proprio in senso cartoonesco, per accentuare la comica improbabilità delle coreografie, risultando in questo modo perfettamente congrua al racconto e allo stile visivo impresso al film. A tutto ciò si unisce ovviamente il lavoro svolto dai coreografi stessi, ovvero i grandi Sammo Hung e Yuen Woo Ping, quest’ultimo già attivo nella trilogia di Matrix: la sua scelta appare eccellente, dal momento che Kung Fusion a tratti sembra porsi in una prospettiva critica rispetto alla concezione delle arti marziali mostrata proprio nella saga cyber-fantasy dei fratelli Wachowski.

Il risultato di questo intreccio di stili e influenze è una pellicola che ribolle di una energia contagiosa, in grado di scatenare il riso ma anche il pathos tipico delle grandi epopee d’azione, dove trova spazio anche una deliziosa parentesi sentimentale e il citazionismo risulta sempre divertito e mai banalmente ammiccante. Davvero difficile non amarlo, davvero impossibile chiedere di più. L’unica nota negativa va al pessimo doppiaggio italiano dialettale, dal sapore stupido e razzista: si raccomanda per questo la visione in lingua originale con sottotitoli.

Kung Fusion
(Gong Fu/Kung Fu Hustle)

Regia: Stephen Chow
Sceneggiatura: Stephen Chow, Tsang Kan Cheong, Xin Huo, Chan Man Keung
Origine: Cina, 2004
Durata: 95’

Sito ufficiale
Sito ufficiale italiano
Biografia di Stephen Chow

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