'80 L'inizio della
barbarie
La saggistica sugli anni
Ottanta, come già evidenziato, tende per lo più ad appiattirsi sul
ricordo nostalgico di chi ha vissuto sulla propria pelle (infantile)
quel decennio e il suo composito immaginario, partorito da
televisione, cinema, musica, fumetti e quant'altro. Ma qual era il
cuore pulsante di un'epoca che si presentava con il ritratto
spensierato della Milano da Bere, consegnata ai posteri dal
memorabile spot di un amaro nel 1985?
Paolo Morando,
giornalista e vicecaporedattore del “Trentino”, ci ricorda che,
in fondo, l'approccio al nuovo decennio fu tutt'altro che lieto: il
1980 consegna infatti alle cronache la strage di Ustica, quella della
stazione di Bologna e il terremoto dell'Irpinia. Nell'arco di appena
un paio d'anni vanno registrati anche i sequestri, da parte delle
Brigate Rosse, del magistrato Giovanni D'Urso, del dirigente del
petrolchimico di Marghera Giuseppe Taliercio, di Roberto Peci,
fratello del pentito Patrizio, dell'assessore campano Ciro Cirillo;
la lista di inizio decennio prosegue, come un fiume in piena, con la
scoperta degli associati alla Loggia P2, l'assoluzione degli imputati
per la strage di Piazza Fontana, l'attentato a Giovanni Paolo II, la
morte di Roberto Calvi a Londra, il trauma
nazionale di Vermicino con la morte del piccolo Alfredino Rampi,
l'agguato al Generale Dalla Chiesa, l'assalto alla sinagoga di Roma... chiunque abbia un minimo di ricordo dei telegiornali dell'epoca, rievocherà facilmente uno scenario difficile, marchiato da
eventi luttuosi e disastri, quelli citati da Morando non sono nemmeno
tutti: la Storia sembra insomma ribaltare un disegno poi abilmente
coperto dall'euforia generata da eventi più lieti, come la
vittoria della Coppa del Mondo di Calcio nel Mondiale di Spagna, che
nel 1982 arriva a riunire l'Italia intera (e fa anche dimenticare lo
scandalo calcio-scommesse, sempre del famigerato 1980).
Come si può notare, la
contrapposizione è fra una Storia reale che sembra tracciare ferite
profonde nella coscienza collettiva, e macro-eventi che svolgono una
funzione rigenerante per l'immaginario altrimenti malconcio del nuovo
decennio. Il saggio di Morando cerca pertanto di lavorare proprio su
questa doppia traccia: da un lato riporta alla luce fatti di cronaca
ormai dimenticati, che smitizzano e riscrivono l'aura degli Ottanta;
da parte dell'autore, si badi, non c'è la facile voglia di abbattere
i miti di una generazione. Nelle sue parole, anzi: “è difficile
dar torto ai quarantenni di oggi e al loro struggersi: più che della
propria gioventù, e ci mancherebbe, è il ricordo di un'età
dell'abbondanza poi mai più ritrovata, del moltiplicarsi dei
palinsesti, di carrelli pieni nei supermercati, merci e suggestioni.
Sogni e futuro. Una visione legittimata da chi ha provato a
raccontare quegli anni al di là di date, eventi, governi e Pil.”
L'autore cerca però di
stare ai fatti e stabilire come, nel calderone delle memorie, vadano
analizzate con più puntualità alcune delle simbologie più ambigue
del decennio, spesso derubricate con l'alibi della leggerezza, della
goliardia e del “dolce ricordo”, per comprendere come proprio
nell'epoca dell'apparente spensieratezza si piantavano i semi di
problematiche che sarebbero poi esplose con la loro evidenza solo in
futuro.
Morando parte quindi da
cinque temi/categorie, riassunte in altrettanti capitoli: L'Italia
nordista racconta i prodromi del leghismo e la scoperta di una feroce
divisione Nord/Sud sintetizzata dallo slogan “Forza Etna”,
collegato alla problematica eruzione del 1983, evidentemente eletta
dagli antimeridionalisti a strumento divino di “pulizia” per cui
fare il tifo. Ripensando agli ignobili commenti razzisti apparsi in
questi giorni sui Social Media a proposito della strage dei treni di
Corato, in Puglia, si capisce come la riflessione sia centrata.
Quello dell'antimeridionalismo è un tema che ritorna un po' in tutto
il volume: lo ritroviamo infatti anche nel terzo capitolo, L'Italia
becera, centrato in gran parte sul fenomeno di Radio Parolaccia,
ovvero il microfono aperto di Radio Radicale che divenne una valvola
di sfogo per gli istinti più violenti e razzisti degli ascoltatori,
lasciando emergere uno sconcertante ritratto del “paese reale”,
fino ad allora del tutto ignorato – con buona pace di chi ancora
oggi lo ricorda come un fenomeno spassoso, si vedano i commenti divertiti ai video di YouTube dedicati alla questione. Ancora
l'ultimo capitolo, L'Italia razzista, sebbene si concentri in modo
particolare sui fenomeni collegati all'immigrazione dai paesi
africani, dando voce a tante storie sconcertanti di quotidiana
intolleranza, non manca di rivangare ulteriormente la divisione fra
Nord e Sud.
I due capitoli rimasti,
L'Italia paninara e L'Italia rampante affrontano invece l'aspetto più
discusso ed esteriore degli anni Ottanta, ovvero il mito edonistico
dell'apparenza collegata alla ripresa economica, anche in questo caso
legato a doppio filo alle problematiche identitarie pronte a sfociare
nelle contrapposizioni evidenziate nel resto del volume. L'autore
continua a interrogarsi sul reale significato di iconografie e mode,
non propende per facili soluzioni, ma indaga gli aspetti più
controversi di un'Italia che vuole apparire civile ma si scopre
sempre più incattivita.
Morando è bravo a non
personalizzare mai troppo le varie problematiche, evitando così il
rischio di creare facili capri espiatori (pur facendo sempre nomi e
cognomi): ciò che infatti sembra interessargli è mettere in luce
una serie di tendenze poco visibili, ma profondamente diffuse, che
dicevano dello spirito di un'epoca e di una nazione che si lasciava
alle spalle le ferite del terrorismo e le battaglie ideologiche dei
decenni precedenti, andando incontro al futuro con un sorriso, ma
senza elaborare le profonde trasformazioni che nel frattempo erano
maturate nella coscienza collettiva, la cosiddetta pancia del Paese.
L'aspetto più
interessante del volume riguarda lo stile: la divisione in cinque
macro-argomenti non impedisce infatti all'autore di adottare una
forma narrativa molto scorrevole, che spesso devia dal percorso
principale attraverso divagazioni utili a ribadire la natura
composita dei fenomeni raccontati. Ci si ritrova così guidati lungo
percorsi dove punti apparentemente lontani si collegano e si cerca di
dare corpo a una visione ad ampio raggio: ogni aspetto finisce così
per nascondere molte possibili sfaccettature e un unico punto
prospettico può aprire diversi percorsi tematici (per orientarsi
nella galassia di riferimenti viene utile l'indice dei nomi
pubblicato in coda).
Il libro abbraccia fino
in fondo questo punto di vista “allargato”, lasciando al lettore
le considerazioni finali, senza tirare somme in maniera troppo netta:
l'impressione che la lettura suscita è dunque quella di un'epoca
complessa e difficile, per l'Italia e non solo (sebbene la politica
estera resti sullo sfondo, evocata soltanto quando ha ricadute
dirette sulla scena nostrana). Un ritratto quindi più reale di
quello propagandato dalla saggistica più celebrativa, non rancoroso,
che rappresenta un primo passo per una storicizzazione più
equilibrata, sebbene ancora impossibile, vista la vicinanza del
periodo preso in esame - “L'inizio” del titolo può essere letto
anche in questo senso.
L'analisi può dunque
dirsi un buon punto di partenza, complice anche la ricca
documentazione riassunta dall'autore in un capitolo apposito,
preferito alle classiche note a pie' di pagina – il sottoscritto
avrebbe preferito questa seconda e più classica soluzione, ma è
comprensibile l'esigenza di non appesantire eccessivamente la
lettura.
'80 L'inizio della
barbarie
di Paolo Morando
2016
Editori Laterza,
Roma-Bari
243 pagine