Monnezza amore mio
“A me Tomas non
piace, mentre Monnezza sì. Tomas è vulnerabile, ingenuo, timido,
Monnezza è coraggioso, saggio, estroverso. L'unica cosa che abbiamo
in comune è il senso dello humor.” Non può esistere migliore
sintesi di questa per approcciarsi a questa biografia scritta da
Tomas Milian, in collaborazione con Manlio Gomarasca, culmine di
quella che era nata come un'intervista (mai pubblicata) e che ha poi
assunto la forma di una tela di Penelope, rinviata e limata
all'infinito sino all'uscita nelle librerie, in concomitanza con il
ritorno a Roma dello stesso Milian nel 2014, per ricevere il premio
Marc'Aurelio alla carriera dalla Festa del Cinema.
Nelle pagine del libro
c'è infatti Tomas che racconta la sua vita, dall'infanzia a Cuba,
segnata dal drammatico suicidio del padre (di cui il giovane e futuro
attore fu diretto testimone), la voglia di fuggire dal contesto borghese di nascita, l'amore per la recitazione sulle orme di James Dean, fino agli anni del successo romano e
della tarda carriera americana quando, con un gesto decisamente
coraggioso, Milian abbandonò il sicuro approdo italiano per
reinventarsi come caratterista hollywoodiano e ricominciare così
daccapo. La storia è in effetti quella di continui re-inizi, e
continue reinvenzioni del proprio sé, sul set e nella vita,
raccontata con ricchezza di aneddoti e senso dell'umorismo, ma senza
risparmiare nulla sulle parentesi più drammatiche. Su tutto domina
il dualismo fra Tomas e il suo alter ego cinematografico, lo
sfrontato Monnezza, sia nell'originaria forma del ladro che in quella
più tarda dell'ispettore di Polizia – che sarebbe Nico Giraldi,
anche se Milian chiarisce una volta per tutte che il personaggio è
Monnezza, a livello progettuale e di fatto, anche se non fu possibile
usare il nomignolo per problemi di diritti.
Così Tomas racconta e
Monnezza spesso interviene nella narrazione con i suoi commenti
sfrontati e a tratti demistificatori, inscenando un finto dialogo fra
le due facce della stessa personalità, e riverberando quel tema
della “maschera” che ricorre in tutta la narrazione: maschere
sono infatti quelle che l'attore usa per assumere di volta in volta
nuove identità sul palcoscenico, ma la maschera (in senso figurato)
è anche il filtro con cui Milian “recita” la sua vita, in base
alle aspettative proprie e altrui – subito dopo il suicidio del
padre, Tomas spiega di aver “recitato” il suo dolore, come ci si
sarebbe aspettato da lui, che era invece rimasto completamente
svuotato dal gesto: “Stavo recitando. E da quell'istante
recitare, per me, è diventato l'equivalente di mentire,
ingannare.”
Sarà anche per questo
che il distacco finto e un po' sornione con cui l'attore rievoca
divertito i vari passaggi della sua esistenza possono apparire come
un'ulteriore maschera: lo stile è piacevole e attento a dosare le
parti ironiche con quelle più problematiche, ma nel complesso il
ritratto non appare mai forzato perchè Milian rivendica una filosia
basata “su nient'altro che non fosse emozioni e sentimenti.”
La biografia è quindi
senz'altro l'ennesima rappresentazione dell'attore, dove i fatti sono
reali, forse romanzati un po', ma l'attitudine di fondo è quella
dell'uomo che vuole mettere in scena la verità dietro le scelte di
una vita, per emettere il suo “giudizio” su quanto ha passato.
Milian non si fa sconti, riconosce i propri meriti ma evidenzia anche
i tanti sbagli, si definisce icasticamente “uno stronzo, ma non
di quelli che dicono stronzate”, perfezionista ma generoso, uno
che fugge dalla sua condizione primaria di “borghese e corrotto”
per avvicinarsi sempre più alla gente, ed essere così “estroverso,
allegro, simpatico, paraculo, buono, puro, dritto e comunista”.
Come il “suo” Monnezza e come l'amico e controfigura Quinto
Gambi.
Il ritratto riesce così
a intenerire, divertire e far riflettere, perché fra le righe di una
narrazione apparentemente semplice nella sua linearità emerge il
travaglio di una personalità complessa, tipica di chi, raggiunti gli
80 anni, può forse considerarsi “arrivato” professionalmente, ma
– a quanto pare – non umanamente, dopo un'esistenza spesa a
cercare il punto di equilibrio fra l'uomo e l'attore. Nella
contrapposizione fra tutte queste maschere emerge così un'umanità
fatta di debolezze, cadute e successi e di una carriera piena di
rischi, senz'altro lontana dall'aura del divo che pure connota la
figura di Tomas Milian in più passaggi, dove la vita e il cinema si
uniscono in un tutt'uno e il libro ha la vitalità di un film ma le
sfaccettature di un diario. Forse, questa biografia non è che un
punto di inizio e l'ennesimo film di Tomas e Monnezza deve ancora
prendere forma.
Monnezza amore mio
di Tomas Milian, con
Manlio Gomarasca
2014
Edizioni Rizzoli,
Milano
304 pagine